martedì 10 dicembre 2019

Roska Óskarsdóttir, arte e militanza per la verità sulla Strage di Stato


Roska Óskarsdóttir appartiene alla generazione di artisti radicali che hanno voluto distruggere i confini tra arte e vita, che hanno combattuto contro lo snobismo artistico della borghesia, la compiacenza politica delle masse e la macchina dei professionisti della politica. Roska è stata pittrice, fotografa, regista cinematografica ma soprattutto una sovversiva; il tema costante della sua vita è stato "ribellione continua nel vivere la poesia e la politica", come scrisse in un articolo del 1978 dedicato al surrealismo.  
Insieme all'attore Manrico Pavolettoni, che in seguito sarebbe divenuto suo marito, si impegnò per dimostrare l’innocenza degli anarchici sotto processo per la strage di Piazza Fontana e per le bombe di Roma. In particolare si misero alla ricerca di Udo Lemke, un giovane tedesco che la mattina del 13 dicembre 1969 si presentò in caserma dichiarando di aver visto gli attentatori in azione all'Altare della Patria e di averli riconosciuti. La storia di Lemke, che racconto nel mio libro "Le bombe di Roma", edito da Castelvecchi, ha dell’incredibile. Udo è un personaggio marginale ma se si analizza il suo comportamento ci imbattiamo in tante e tali stranezze che sembrano pianificate a tavolino: è un personaggio che spunta fuori dal nulla, riesce a spostarsi con grande facilità per trovarsi in situazioni che meriterebbero di essere chiarite; sparisce, riappare, parla e poi ritratta, passa per pazzo ma dice cose che alla fine la Cassazione ha dovuto in qualche modo ammettere. Il giorno dopo gli attentati aveva già indicato la pista nera, già aveva parlato dei rapporti tra la mafia e l'estrema destra, già aveva parlato di quel piano eversivo che verrà rivelato solo mesi dopo. Il giorno dopo le bombe aveva già scagionato gli anarchici.

sabato 7 dicembre 2019

Emilio Vedova, la rabbia e la passione del pittore partigiano

Passione e rabbia fuse insieme dal colore. Pennellate grasse e nervose che allagano quadri immensi. Gesti titanici e ciechi che travolgono tutto. Foga, impeto e furore che smontano e rimontano strutture. È l'arte di Emilio Vedova, l'artista che nel Novecento più di tutti incarna l'uomo in rivolta. «La sua pittura è un' appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e del no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi», sostiene Werner Haftmann. «La tela, come una membrana nel mezzo della disputa registra il corso della contesa».
La sua biografia parla da sola. Negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, Vedova fece parte, a Milano, del gruppo di "Corrente", nella cui galleria presentò una delle sue prime "personali". Dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza romana. Militò poi, col nome di battaglia di "Barabba" (scelto per la folta barba che ne avrebbe incorniciato il volto per tutta la vita), in una formazione partigiana molto attiva sull'altipiano bellunese. Nel corso di un rastrellamento "Barabba" fu ferito, ma riuscì, fortunosamente ad evitare di essere catturato dai nazifascisti.

venerdì 22 novembre 2019

Divisionismo, quando la pittura diventò strumento di militanza politica

Emilio Longoni, L'oratore dello sciopero
Quando nel maggio del 1891 venne aperta a Brera la prima edizione della Triennale di Belle Arti probabilmente i visitatori non se ne resero conto, ma quell'esposizione segnò un punto di non ritorno: l'inizio dell' arte moderna italiana. Per la prima volta vennero esposti quadri di soggetto "sociale", dove i protagonisti erano operai, contadini, gente comune che si poteva incontrare nelle campagne o nelle strade di città, ma soprattutto era rivoluzionario il modo che avevano i pittori di dipingere. Su suggerimento del mercante d'arte e critico milanese Vittore Grubicy de Dragon gli artisti della sua scuderia sostituirono la miscela chimica dei colori tradizionalmente ottenuta sulla tavolozza con un accostamento diretto dei toni complementari sulla tela posti a "striscioline" o attraverso macchie cromatiche pure messe l' una all' altra: il colore veniva "diviso" e diventava fenomeno ottico. Alla dovuta distanza l'occhio dello spettatore poteva ricomporre le pennellate staccate in una sintesi tonale percependo una maggiore luminosità nel dipinto.

giovedì 31 ottobre 2019

Le opere di Cerith Wyn Evans fatte di luce, suono ed energia

La sinestesia è un’esperienza percettiva in cui gli stimoli di un certo tipo evocano sensazioni di un tipo differente: ad esempio permette di “assaporare” le forme, fa “vedere” un suono o “sentire” un colore. Il fenomeno appare sette volte più comune in artisti, poeti e scrittori che nel resto della popolazione, ma può essere anche indotto così che tutti possano provarlo.
Ed è proprio quel che fa l’artista inglese Cerith Wyn Evans. Provare per credere.

giovedì 17 ottobre 2019

Amanti, nipoti, amici, amantii: ecco la famiglia allargata secondo Elliott Erwitt

Lo sposo, la sposa e l’invitato dal piglio audace, quasi di sfida, come se custodisse uno scomodo segreto. La donna velata, fresca di cerimonia, gli volge un’occhiata preoccupata, mentre il marito, un po’ confuso, le tiene la mano. Siamo a Bratsk, in Siberia, nel 1967: lo scatto in bianco e nero fa il paio con un altro a colori in cui l’invitato ha lo sguardo nel vuoto e la mano sul mento. Entrambi sono opera di Elliott Erwitt, soprannominato non a caso il fotografo della “commedia umana”: per scattare sempre due macchine, una in mano, l’altra appesa al collo, a riprova di come l’assoluto, anche in fotografia, sia una bugia. C’è spazio solo per l’interpretazione, più d’una certamente, e due scatti, per quanto contigui, possono lasciar vedere il vero e il suo contrario, rimescolando le carte.
La madre di Robert Capa sulla tomba del figlio in Vietnam

martedì 15 ottobre 2019

Cesare Viel: Più nessuno da nessuna parte


Un'enorme balla di fieno si staglia all' ingresso del PAC di Milano. Lo sfondo azzurro rievoca cieli estivi e la scala di legno appoggiata invita a salire e a riposare su quelle erbe secche e profumate. È Lost in meditation, un varco d' accesso al mondo di Cesare Viel che con le sue costellazioni di frammenti di vissuto e memorie interpreta l' arte come momento di scambio emozionale e di relazione con gli altri. L' imponente installazione è un richiamo all' infanzia dell' artista trascorsa in Veneto, quando i contadini tagliavano l' erba, raccoglievano il fieno e lo disponevano in cumuli sui prati. Un' indagine sul linguaggio nell' arte, ma anche un tema sociale in un Paese come il nostro che fino a pochi decenni fa era ancora per lo più una realtà agricola. «Il personale è politico, pubblico», dice Viel durante la visita in anteprima della mostra riprendendo uno slogan degli anni Settanta. «Da bambino», continua l' artista, «desideravo salire e sdraiarmi su quel fieno. Mio nonno però me lo impediva per paura delle vipere che si potevano annidare e per non rovinare il duro lavoro, quasi sacro, dei contadini». Stasera, invece, Cesare Viel ci salirà e ci sdraierà per meditare.

lunedì 7 ottobre 2019

Dobbiamo tutte essere grate a Nellie Bly, cronista di fine '800

Nessuna ragazza di oggi che vuole fare la giornalista potrebbe avere un modello migliore di Nellie Bly. Lo scrive chiaramente David Randall nella prefazione della prima graphic novel a lei dedicata che ha firmato Luciana Cimino come sceneggiatrice e Sergio Algozzino come disegnatore.
Come dargli torto! Centocinquanta anni fa Nellie Bly rivoluziò il mondo del giornalismo non solo inventando le inchieste investigative sotto copertura, ma soprattutto - quando alle donne era preclusa ogni possibilità di professione e carriera - riuscì nell' impresa di farsi assumere da un quotidiano e a stracciare i colleghi maschi con imprese epocali. Un esempio su tutti: fu lei, in un mondo di viaggiatori ed espoloratori uomini, la prima a compiere in solitaria il giro del mondo in 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi. È la stessa Nellie Bly nella graphic novel edita da Tunué (160 pagine, 17 euro) a raccontarlo - in un costante confronto con una giovane giornalista che vuole intraprendere la stessa carriera - come dovette lottare e come alla fine la spuntò con il suo direttore diventando simbolo di tenacia, di libertà, di emancipazione femminile.

lunedì 30 settembre 2019

Artiste scandalose, emigrate dimenticate, pittrici di genere: quanti capolavori sconosciuti

Pan Yuliang
Parigi,1957. Le campane della Cappelle des Auxiliatrices suonano cinque rintocchi e Pan Yuliang congeda due modelle, si versa un bicchiere di vino e viene inaspettatamente raggiunta dai ricordi. Inizia così il romanzo di Jennifer Cody Epstein La pittrice di Shanghai (Rizzoli, 2008) che racconta la vita della scandalosa artista che nei primi decenni del secolo scorso ha scioccato la Cina con i suoi nudi. Una vita incredibile che inizia nel 1895 nella provincia di Jiangsu, lungo la costa est della Cina. Lei - al secolo Chen Xiuqin - rimane orfana a otto anni; viene sfruttata come serva dei parenti e poi venduta dallo zio a un bordello di Wuhu. Lì, nella "Casa dell'eterno splendore" dove le ragazze come lei si comprano e si vendono per pochi soldi, conosce la violenza ma anche l'amore che la farà diventare Yuliang (Buona giada). E impara a coltivare in segreto il vizio portentoso che un giorno la renderà libera: la passione assoluta e inviolabile per la pittura. Quando nel 1977 muore in un attico nella periferia di Parigi lascia agli eredi qualcosa come quattromila opere.
Concetta Scaravaglione
Gluck

mercoledì 25 settembre 2019

de Chirico, una grande scoperta

Autoritratto nudo, 1943
Quando René Magritte, per la prima volta, si trovò a tu per tu con un quadro di Giorgio de Chirico rimase folgorato. «Vidi il pensiero per la prima volta», disse. In effetti dopo la visita a Palazzo Reale a Milano, dove ieri si è tenuta la preview della mostra dedicata al «pictor optimus», l’impressione è proprio quella di essere riusciti a varcare una soglia, quella del suo inconscio. Piazze vuote, manichini senza volto, colonne e busti di marmo, ritratti e autoritratti: le opere di Giorgio de Chirico sono attimi rubati a un sogno, catturati e trasposti sulla tela, come testimonianze di un inconscio che si confessa in un quadro e non tra le pagine di un diario.

lunedì 23 settembre 2019

Le stanze delle meraviglie non stupiscono più, ma insegnano a ragionare #Prada


Le Wunderkammer erano le stanze dove, a partire dal Rinascimento, sovrani e signori d’Europa - non contenti di circondarsi di opere d’arte tradizionali - mettevano insieme stupefacenti collezioni di pezzi rari, curiosi ed esotici, naturalia et artificialia. Non c’era, apparentemente, alcun criterio logico. Quell’assemblaggio improbabile di oggetti aveva una sola funzione: quella di stupire gli ospiti.
E oggi? Cosa cercherebbe un collezionista per il suo gabinetto delle meraviglie? E come lo allestirebbe? Le risposte vengono dalla mostra Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori appena aperta alla Fondazione Prada di Milano che propone ai visitatori 538 opere d’arte e oggetti provenienti dai musei viennesi Kunsthistorisches e Naturhistorisches.

mercoledì 18 settembre 2019

Training Humans: l'intelligenza artificiale non è poi così intelligente

Entri un una stanza e guardando due monitor ti accorgi non solo che sei stata ripresa da qualche telecamera nascosta chissà dove, ma anche che sei stata “schedata” e “interpretata” da un’intelligenza artificiale. Nel mio caso in maniera sbagliata. Non solo ha sbagliato l’età, mi ha “letto” più giovane di un lustro (e questo potrebbe anche essere un motivo di vanto) nonostante i miei capelli siano tinti di bianco, ma soprattutto ha preso un abbaglio sul mio stato d’animo. Secondo lei sono in preda alla paura. Perchè dovrei aver paura visto che sono in un posto splendido, circondata da tante persone rassicuranti e garbate, e sto vedendo una mostra? La risposta è una: l’intelligenza artificiale è meno intelligente di quel che si pensi. O meglio: chi l’ha addestratata non le ha fornito informazioni elaborate correttamente. E proprio su questo si concentra Training Humans, la mostra concepita da Kate Crawford, professoressa e studiosa nell’ambito dell’intelligenza artificiale, e Trevor Paglen, artista e ricercatore, che ha appena aperto all’Osservatorio Fondazione Prada di Milano. 

domenica 15 settembre 2019

Millia ed Emilia tornano a casa e svelano a tutti il segreto di Tiziano

Quella figlia illegittima avuta dalla serva doveva rimanere un segreto, di quelli che non conviene rivelare per evitare imbarazzi, ma ancora di più perché dividere un’eredità con degli estranei non è piacevole. Deve averlo pensato anche Pomponio, il figlio del grande Tiziano Vecelio, quando alla morte del padre, nel 1576, trovò nel suo studio a Venezia un dipinto non terminato che ritraeva una donna così somigliante alla loro domestica Millia insieme ad una bambina. Era un quadro incompiuto, eppure splendido, eseguito con la massima cura dalle mani di un artista innamorato che non potendo gridare al mondo il suo amore si doveva accontentare di vederlo riprodotto su una tela.

giovedì 12 settembre 2019

Mangrané, l'artista che ci spinge a ripensare il nostro ruolo nel mondo

C’è un padiglione realizzato con filtri fotografici arancioni dove farsi una spremuta da assaporare tranquillamente seduti. Là dentro, ma ancor di più quando si esce, ci si accorge che la percezione dello spazio e dei colori cambia: qualcuno vede tutto più blu, altri trovano alterate le distanze e altri ancora si sentono in preda ad una sensazione di straniamento. A dimostrazione che ha ragione Daniel Steegmann Mangrané. L’artista, nato a Barcellona ma da 15 anni di casa in Brasile, con "Orange Oranges" sovverte categorie di pensiero che caratterizzano il nostro modo di percepire la realtà. In questa relazione il filtro fotografico è come a una membrana attraverso cui le informazioni e sensazioni vengono proiettate dall’interno all’esterno e viceversa.

sabato 17 agosto 2019

Lee Hadwin, l'artista sonnambulo che da sveglio non sa tenere una matita in mano

Il sonnambulismo appare fra i fenomeni più misteriosi e affascinanti della psiconeurologia. Statistiche recenti dicono che colpisce almeno una volta nella vita un bambino su tre, con un picco attorno ai 12 anni, mentre negli adulti l’incidenza è attorno all’1%. C’è chi cammina, c’è chi fa sesso o si spoglia, c’è chi parla o gesticola. E poi c’è chi crea. Come Lee Hadwin che nello stato incosciente del sonno è in grado di ritrarre paesaggi, volti, strane figure antropomorfe e forme astratte, senza però possedere alcun tipo di talento artistico da sveglio. Insomma due vite: una diurna dove non sa neanche tenere una matita in mano e una notturna, in cui tira fuori un'abilità nascosta che nessuno sospetta, nemmeno lui stesso. Come per tutti i sonnambuli, i suoi sono episodi incontrollabili: possono manifestarsi più di una volta a settimana, oppure restare silenti per mesi, il che l’ha reso un interessante caso di studi per l’Edinburgh Sleep Center, che approfondisce l’attività cerebrale durante il riposo.

venerdì 9 agosto 2019

Ozmo porta il Ratto delle Sabine in Tribunale

Nell'Oratorio della chiesa di San Pietro Martire a Rieti è conservato uno straordinario affresco realizzato tra il 1552 ed il 1554 da due pittori veronesi, i fratelli Bartolomeo e Lorenzo Torresani. Vennero chiamati dai frati domenicani  a dipingere su una parete il Giudizio Universale: i due compirono un'impresa notevole ricorrendo ai più grandi modelli iconografici, pur senza rinunciare alla loro originalità interpretativa.
Il ratto delle Sabine è invece una fra le vicende più antiche della storia di Roma, avvolta dalla leggenda. Secondo la tradizione, Romolo, dopo aver fondato Roma, si rivolse alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei Sabini, gli antichi abitanti di Rieti, rispose con l'inganno: organizzò un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione e rapire così indisturbato le loro donne.
Al Giudizio Universale dei Torresani e alla storia del ratto delle Sabine si ispira il bellissimo murale che compare sul Palazzo di Giustizia di Rieti firmato da Gionata Gesi, in arte Ozmo. Si chiama Al suono delle trombe ed è a tutti gli effetti il primo intervento di street art sulla facciata di un tribunale italiano e, vuoi per l'inedita committenza che per le dimensioni (16 metri per 10 metri) e il significato dell'opera, è destinato a fare storia.

giovedì 8 agosto 2019

Così ti svecchio le perle. I gielli hi-tech di Lucilla Benchimol

«Le perle non sono assolutamente negoziabili», rispose senza possibilità di replica Margaret Thatcher a chi, nel Partito Conservatore inglese, le voleva imporre un nuovo look in vista della candidatura a Primo Ministro. E così quando la mattina del 4 maggio 1979 i riflettori dei cameramen e i flash dei fotografi provenienti da tutto il mondo la immortalarono per la prima volta davanti la residenza in Downing Street numero 10 al centro di Londra, fresca di nomina, la futura Lady di Ferro indossava un vestito e una giacca neri e bianchi di Donegal e al collo un giro di perle.
Lei, come lei tantissime donne di oggi e del passato, non poteva rinunciare a quel tesoro donato dal mare all’umanità. Da Cleopatra a Margherita di Savoia, considerata la “regina delle perle” da Grace di Monaco a Jacqueline Kennedy Onassis, da Audrey Hepburn a Marilyn Monroe, fino a Coco Chanel, che sosteneva che una donna ha bisogno di fili e fili: tutte hanno legato il loro stile a quelle sfere iridescenti che tramandano storie e leggende.
Simbolo di eleganza, le perle sono infatti gioielli senza tempo, da portare in qualsiasi occasione, che stanno bene al collo di signore e giovanissime. Che ora hanno anche la possibilità di indossarle in maniera contemporanea.

martedì 2 luglio 2019

AAA cercasi direttore museo che lavori gratis tre anni #senigallia


L’esercito degli storici dell’arte, degli archeologi e degli archivisti, dei restauratori o delle guide turistiche di professione continua ad ingrossare le sue fila per la gioia di amministratori senza scrupoli che hanno un solo obiettivo: sfruttare. Del resto studiosi iper-formati, precari e senza tutele, se vogliono lavorare nel loro campo, devono rispondere ai bandi ministeriali che cercano volontari o stagisti con rimborso da 433 euro al mese. E poi? La ruota gira e si ricomincia a correre. Gratis, alla ricerca del prossimo bando. Come quello che ha pubblicato il Comune di Senigallia che cerca addirittura un ruolo di primo piano e di alto profilo come quello il direttore del Musinf, il museo d’Arte Moderna e dell’Informazione e della Fotografia.
 «L’incarico avrà la durata di tre anni e sarà svolto a titolo completamente gratuito e senza alcun onere economico a carico del Comune di Senigallia. Il termine entro il quale potranno essere presentate le candidature è il 10 luglio», si legge nell’avviso pubblico diramato dall’amministrazione della città marchigiana. Ovviamente il candidato deve essere laureato, competente, garantire compiti di fundraiser, di monitoraggio dei servizi e delle presenze. 

lunedì 1 luglio 2019

Peter Aufreiter, addio con il botto a Urbino. L'intervista

L’austriaco Peter Aufreiter è un direttore in scadenza. Ma non lo dimostra. Con una sofferta decisione ha scelto di non rinnovare il contratto con il ministero dei Beni Culturali e dal 1° dicembre non sarà più  il responsabile della Galleria Nazionale delle Marche. Eppure continua a fare progetti, a promuovere quel territorio così ricco di cultura ma fuori dalle grandi rotte turistiche, e a invitare tutti al Palazzo Ducale di Urbino, che ormai è diventata un po’ la sua casa. Si è inventato degustazioni di vini comprese nel prezzo del biglietto di ingresso, è riuscito a far arrivare il 20% di giovani in più grazie anche al videogioco "Raffaello in Minecraft" prodotto da Microsoft (che dà ai giocatori la possibilità di creare mondi di gioco con mattoni cubici, un po’ come con i Lego) e continua a battere l’Italia per far conoscere i personaggi, la storia e la cultura di quello che fu dei centri più importanti del Rinascimento e che dal 1998 è patrimonio dell’Unesco organizzando mostre ed eventi. E proprio in occasione della presentazione della grande mostra che aprirà i battenti in autunno dedicata al Sanzio "Raffello e gli amici di Urbino" conferma, amareggiato, che dal 1° gennaio sarà direttore del Museo della Tecnica di Vienna.

mercoledì 26 giugno 2019

Gli ecomostri: così l'incompiuto diventa stile architettonico della nostra era

Villetta Comunale Calatabiano
Non ha niente a che vedere con Michelangelo, che fa del non-finito il vero e proprio tema delle sue opere più suggestive e moderne. E neppure con Antonio Gaudí che all’inizio del’900 costruisce la Sagrada Familia e la lascia intenzionalmente incompiuta per una precisa scelta architettonica di “opera aperta”, tappa di un processo artistico e psicologico in continuo divenire, e perciò eternamente incompleta. Eppure l’incompiuto è lo stile architettonico più importante dal secondo dopoguerra a oggi. Così sostiene e dimostra Alterazioni Video, un collettivo artistico fondato a Milano nel 2004 da Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri, che da oltre dieci anni conduce una ricerca sul fenomeno delle opere pubbliche incompiute in Italia. Viadotti, ospedali, carceri, edilizia residenziale, teatri, chiese, piscine, biblioteche sono state iniziate e poi abbandonate a se stesse e per questo non hanno nessuna funzione se non quella di essere monumenti di qualcosa che non è mai esistito.
planetario Lucca

mercoledì 29 maggio 2019

Il riscatto dei senza casa attraverso la fotografia: 13 storie dalla strada


"Il posto più bello della mia città", Dario

Se un visitatore entrasse alle Gallerie d’Italia a Milano senza sapere nulla del progetto esposto, penserebbe tranquillamente di trovarsi davanti a una mostra di qualche celebre fotografo appena insignito del Pulitzer per i suoi reportage urbani. Gli scatti presentati nel polo museale di piazza Scala, non sono solo bellissimi: chi li guarda si trova ad osservare una realtà altra rispetto all’evidente. Questo perché gli autori delle 52 immagini sono persone speciali che hanno cercato e in molti casi trovato il proprio riscatto attraverso la fotografia. Sono clochard, donne e uomini abituati a essere definiti per difetto: “senza”, senza un impiego, senza una casa, senza un futuro che hanno scoperto che la vita può riservare loro ancora soddisfazioni personali e lavorative. 

sabato 11 maggio 2019

Biennale di Venezia 2019: il Leone d'oro va alla Lituania e pure a Arthur Jafa


Fuori piove a dirotto, ma dentro al Magazzino numero 42 della Marina Militare all'Arsenale di Venezia è già scoppiata l'estate. Dall'alto vedi il sole cocente e accecante che brucia il corpo dei vacanzieri “spalmati” sulla spiaggia coi loro costumi smaglianti, la pelle unta dalla crema solare, le ascelle appiccicose. La sabbia si infila dappertutto. Ci sono bambini che ridono, persone che leggono e chiacchierano. Insomma, ai tuoi occhi di guardone, una perfetta vacanza al mare. Solo in seguito diventi consapevole della fragilità della condizione umana che esprime quel “tableau vivant”: ogni personaggio della scena, cantando, rivela le proprie preoccupazioni. Da irrilevanti premure per prevenire scottature o piani per vacanze future, all’angosciante timore di imminenti catastrofi ambientali che emerge dal più profondo della propria precaria esistenza. Le micro-storie salottiere e frivole della spiaggia affollata, gradualmente soccombono lasciando spazio a questioni più serie e rilevanti, che trasformano i canti individuali in una sinfonia globale (la musica sembra ispirata ai classici contemporanei dell’Est), un coro universale di voci umane dedicato a problemi ambientali di scala planetaria. Corpi stanchi si fanno metonimia del nostro stanco pianeta.

È il Padiglione della Lituania alla Biennale Internazionale d'Arte di Venezia curato da Lucia Pietroiusti, con una banda di artiste provenienti da discipline diverse, Rugilè Barzdziukaitè (regista e direttrice di teatro), Vaiva Grainylè (scrittrice e poetessa), Lina Lapelyte (compositrice e artista visiva), che hanno messo in scena la performance “Sun & Sea (Marina)”.

mercoledì 17 aprile 2019

Liu Bolin, l'uomo invisibile che accende i riflettori sulle contraddizioni del nostro mondo


Liu Bolin, la performance al Mudec

Ci sono degli animali che hanno sviluppato la capacità di rendersi invisibili agli occhi dei predatori. Altri sfruttano tale abilità per celarsi alle loro prede, sorprendendole poi all’improvviso. Si mimetizzano cioè come forma di difesa o per volontaria strategia di attacco. Poi c’è lo scultore, performer e fotografo cinese Liu Bolin che ha fatto del camouflage un’arte: difficile distinguerlo tra le architetture, le merci, le macerie, i rifiuti e i molteplici scenari del mondo nei quali sceglie di immergersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel Tutto. Ieri, nei depositi del Museo delle Culture di Milano Liu Bolin ha messo in scena la sua ultima performance in vista della mostra «Visible Invisible» prodotta da 24OreCultura che inaugura il 15 maggio 2019 con la curatela di Beatrice Benedetti.
Dopo aver scelto nei giorni scorsi, insieme ai sovraintendenti del Mudec, i preziosi manufatti della collezione permanente che hanno fatto da scenografia alla fotografia finale, ha dipinto insieme ai due assisitenti i suoi vestiti e le scarpe, i capelli e il corpo con un accurato body painting che lo ha perfettamente integrato e nascosto nella scena. Un lavoro lungo e impegnativo che prevede anche una grande preparazione fisica e mentale dovendo rimanere immobile per delle ore. Però poi il risultato è stupefacente: davvero difficile stanare l’artista in filigrana tra la bardatura da cavallo giapponese del periodo Edo, il vaso cinese del 18esimo secolo, le due maschere cerimoniali della Papua-Nuova Guinea e dell’Amazzonia, i pali e lo scudo della Papua Nuova Guinea del XX secolo appartenenti alla cultura Asmat, le coperte argentine del XX secolo. 

mercoledì 3 aprile 2019

Sheela Gowda porta l'India a Milano

C'è un'antica tradizione in India che spinge gli induisti di ogni casta a donare, almeno una volta nella vita, i propri capelli alle divinità in cambio di una risposta alle loro preghiere. E così ogni anno milioni di persone si mettono in cammino, da ogni parte del Paese, per raggiungere i templi del sud negli stati di Tamil Nadu e Andhra Pradesh in cerca di miracoli e buona sorte. Altri indiani li vendono per motivi economici, altri ancora li utilizzano come talismani. Sheela Gowda li adopera per creare opere d' arte. Come quelle esposte da oggi negli enormi spazi del Cubo all' interno del Pirelli Hangar Bicocca. Entrando si ha l' impressione di avere di fronte due gigantesche tele che ricordano il Quadrato Nero dipinto da Malevic nel 1915 e considerato da critici, storici, curatori e artisti come il "punto zero della pittura". Solo da vicino ci si rende conto che si tratta di una corda fatta da capelli intrecciati lunga 15 chilometri.

sabato 30 marzo 2019

Ibrahim Mahama, la sua Arte è un pugno nello stomaco

Spesso le cose diventano evidenti e importanti nel momento stesso in cui vengono nascoste alla vista. Esistono, lo sappiamo, ma tolte al nostro sguardo rivelano tutto il vuoto che lascia il loro non esserci. Ci si accorge di quanto bene si vuole a una persona quando questa è lontana, ci si rammarica per tutte le volte non gli abbiamo prestato attenzione, che non abbiamo approfondito la sua conoscenza. Lo stesso meccanismo può essere applicato agli oggetti e perfino ai monumenti. Come i due caselli daziari di Porta Venezia a Milano.
Ieri mattina chi si è trovato a passare per quel nevralgico crocevia, è rimasto basito: cosa diavolo è successo ai due edifici neoclassici simbolo della città? Chi li ha "impacchettati" con quei sacchi sporchi, scarabocchiati e strappati? Ma soprattutto perché tutto questo degrado? La maggior parte di turisti e milanesi a tutto hanno pensato tranne che quella fosse un'opera di "land art" come quelle di Christo. C'è chi ha pensato ad un'occupazione da parte dei migranti. C'è chi ha pensato a un imminente restauro: che quei teloni servano a coprire il cantiere. Altri hanno creduto che fosse il set cinematografico di un film ambientato in qualche favela, alcuni hanno immaginato una spettacolare sorpresa nascosta nel loro interno.
Niente di tutto questo. Entrando nel primo casello "impacchettato" si scopre - c'è tanto di cartello - che quello è uno degli interventi su scala urbanistica di Ibrahim Mahama in occasione dell' Art Week e della Settimana del Design (dall'1 al 14 aprile).

venerdì 22 marzo 2019

Letizia Battaglia, fotografia come scelta di vita

Capelli rosa tagliati a caschetto, la sigaretta in una mano, la Leica nell'altra. Letizia Battaglia ti guarda dritto in faccia quando ti parla ed è impossibile non rimanere sedotti da quella luce che brilla nei suoi occhi così come si resta contagiati da quella carica di umanità che sprigiona.
Ha ottantaquattro anni Letizia Battaglia. Lei, prima donna europea premiata a New York con l'Eugene Smith (il più prestigioso dei riconoscimenti, il nobel per la fotografia), diventata famosa per i suoi scatti ai morti ammazzati dalla mafia (tra cui Pier Santi Mattarella) non ci sta ad essere etichettata come fotografa e ancor meno a essere conosciuta nel mondo semplicemente come "la fotografa della mafia": «Non diciamo sciocchezze! Io sono una persona, non sono una fotografa». E lo dice con così tanta convinzione che questa frase campeggia all' ingresso dell' antologica a lei dedicata che apre oggi alla Casa dei Tre Oci a Venezia, curata da Francesca Alfano Miglietti. «Quando ho fotografato l'ho fatto perché dovevo», puntualizza smontando in pochi secondi il falso mito del "divino artefice", del demiurgo e dell' ispirazione sovrannaturale.
Rivendica con orgoglio la necessità di fare quelle foto per portarsi a casa uno stipendio (era una reporter de L' Ora), e rivela senza nessun problema che la fotografia è stata la sua terapia. «La macchinetta che mi ha regalato una mia amica è stata determinante. Ero una donna con tanti problemi, ero infelice, inquieta, non avevo elaborato la strada: ero madre, ma volevo essere io», ricorda. «Sono riuscita a riappropriarmi di me quando ho iniziato a fotografare». E ancora: «La fotografia l'ho vissuta come documento, come interpretazione e come tanto altro ancora. L'ho vissuta come acqua dentro la quale mi sono immersa, mi sono lavata e purificata. L'ho vissuta come salvezza e come verità».

mercoledì 6 marzo 2019

Birgit Jürgenssen: "Io sono" donna, artista, femminista

Hausfrauen-kucheshurze
Nel 1975 Birgit Jürgenssen costruì e poi si infilò il grembiule da casalinga: "Hausfrauen-kucheshurze" era una sorta di cucina indossabile con due fuochi e un forno dal quale fuoriusciva un pane a forma di pene. Poi si fotografò inquadrata da davanti e di profilo: il corpo dell’artista e la cucina diventano un unicum in quella rappresentazione ironica che mette in discussione i pregiudizi e i modelli di comportamento a cui erano (sono) soggette le donne all’interno della società.

domenica 3 marzo 2019

Lola June, the baby artist who making crazy New York


Other than dolls, pans, or balloons: her games are colors and brushes. Lola June, only two years old, sitting on the floor mixes tempera until to find the color gradation she likes the most. Then she spreads it on the canvas with a gestural storm and irreverent sign: what comes out are fantastic worlds in which her imagination over takes. Artworks that are literally making crazy the collectors of New York.
Lola June has just inaugurated her first solo exhibition in a gallery in Union Square, one of the most iconic squares of the city, selling in a few hours much more than many artist on the market of the Big Apple can sell in an year. 

sabato 2 marzo 2019

Lola June, la baby artista di due anni che sta facendo impazzire New York


Altro che bambole, pentoline, o palloni: i suoi giochi sono colori e pennelli. Lola June ha appena due anni e seduta per terra mescola la tempera fino a trovare la gradazione cromatica che più le piace, poi la stende sulla tela con una tempesta gestuale e segnica prorompente: quello che viene fuori sono i mondi fantastici in cui la sua immaginazione di bimba sconfina. Opere d' arte a tutti gli effetti che stanno facendo impazzire i collezionisti di New York.
Lola June ha infatti appena inaugurato la sua prima mostra personale in una galleria a Union Square, una delle piazze iconiche della città, vendendo in poche ore molto più di quanto riescano in un anno tanti creativi sul mercato della Grande Mela. Il giorno dell' inaugurazione, racconta la rivista The Cute che le ha dedicato un ampio servizio, la piccola pittrice ha accolto i suoi estimatori con una particolarissima acconciatura (nove codini attorcigliati e tenuti su da nastrini colorati), il pannolone sotto i pantaloni all' ultima moda maculati di rosa e le mani sporche di ciò che restava di un biscotto alla vaniglia e cioccolato sbriciolato.

venerdì 1 marzo 2019

Architettura e design dalla parte della Natura #Triennale


La nazione delle Piante
La comunità internazionale del design e dell’architettura si interroga su come ricostruire il rapporto, ormai “strappato”, dell’uomo con la natura. E lo fa con una delle sue manifestazio-ni più importanti: la Triennale di Milano. La XXII edizione dell’Esposizione Internazionale che inaugura oggi si chiama infatti «Broken Nature» e propone approcci creativi che mirano a correggere il corso autodistruttivo dell’umanità. A firmarla come curatrice è Paola Antonelli che arriva dal Moma di New York ingaggiata dal presidente di Triennale Stefano Boeri per coordinare questa importante manifestazione che, riprendendo la tradizione della Triennale, la connette ad uno dei grandi temi della nostra contemporaneità: come possiamo restituire alla natura quanto in questi secoli le è stato sottratto?

lunedì 25 febbraio 2019

Giorgio Andreotta Calò ha portato il mare a Milano

Meduse
Dopo essersi inabbissato, il piroscafo "Città di Milano" riemerge dalle profondità marine con un carico di sculture enigmatiche. Sono le opere di Giorgio Andreotta Calò (ha rappresentato l'Italia all'ultima Biennale di Venezia con la spettacolare installazione all'Arsenale "La fine del mondo") che hanno "invaso" i 1400 metri quadrati dello Shed del PirelliHangar Bicocca a Milano per raccontare vicende dimenticate in una stimolante trama di rimandi. A cominciare dal titolo scelto per la mostra Città di Milano che è il nome del piroscafo della Pirelli che il 16 giugno del 1919, urtando in una secca, colò a picco al largo di Filicudi dopo 32 anni di campagne fra posa e riparazione di cavi telegrafici sottomarini tra le isole italiane, il Mar Rosso, lo Stretto di Gibilterra, le Baleari, il Marocco, la Libia, l'Oceano Indiano, le guerre (come quella italo-turca quando dovette andare ai Dardanelli a tagliar cavi sotto il fuoco delle batterie nemiche) e la riparazione di quelli spazzati via dalle onde del maremoto a Messina.

Madonne, marinai e mafiosi: ecco chi c'è dietro i ritratti di Antonello da Messina


Ritratto di marinaio ignoto

L’Annunciata, il marinaio, il “mafioso” Trivulzio, l’uomo di Pavia, ma anche il bambino della Madonna Benson e l’Ecce homo: la capacità di Antonello da Messina di cogliere l’intima essenza della persona fa sì che ogni suo ritratto sia una storia, un romanzo, una leggenda. Che il prof Giovanni Carlo Federico Villa smonta ad una ad una. Lui, che ha portato a  Palazzo Reale, 19 dei 35 capolavori del più grande pittore siciliano del Quattrocento, durante la preview della mostra milanese ribatte punto per punto alla letteratura fiorita attorno a quei ritratti così vitali ed enigmatici. «Ma quale marinaio», puntualizza davanti alla tavola con il fascinoso e spavaldo uomo dipinta tra il 1465 e il 1476 proveniente dal Museo Mandralisca di Cefalù. Sorridendo rivela che si tratta del vescovo umanista Francesco Vitale da Noja e non certo lo sconosciuto marinaio che, secondo la tradizione, avrebbe sedotto e abbandonato la figlia del farmacista di Lipari: fu lei, per la vulgata, a sfregiare il ritratto con la punta di un’agave e il padre lo usò come sportello per un mobile della bottega. 

mercoledì 20 febbraio 2019

Figlie, amiche, amanti: le bambole di silicone surrogati d'amore


Elena Dorfman "Still Lovers"
Rimpiazzano gli esseri umani con una bambola. Neonata, adolescente, adulta: ognuno la sceglie per meglio soddisfare il proprio bisogno di dare amore. E la cura con tutte le attenzioni che si darebbero a un neonato vero, a un’amica o a una fidanzata in carne ed ossa. Del resto sembrano veramente delle persone. Capelli da pettinare, viso, espressioni e incarnato che invitano alle carezze, ai baci: tutto è studiato per rendere la bambola (costa 20 mila euro) quanto più vicina alla realtà così da dare l’illusione di una compagnia umana a tutti gli effetti. Sono tanti nel mondo a offrire, senza chiedere nulla in cambio, il loro amore a un manichino di silicone: amore surrogato, lo chiamano ad indicare il legame emozionale tra un uomo o una donna e una rappresentazione artificiale dell’essere umano.

domenica 3 febbraio 2019

Andy Warhol, lo sciamano dei nostri tempi


Guardare Andy Warhol da un' altra prospettiva, quella capace di mettere in luce il suo essere non solo «sismografo dei suoi tempi», ma anche anticipatore dei nostri. È quello che si propone di fare la mostra che all'Orangerie della Villa Reale di Monza. Lo si capisce subito, a partire dal sottotilo: «L' alchimista degli anni Sessanta» voluto dal curatore Maurizio Vanni. E, sì. Andy Warhol è un moderno alchimista che trasforma - o più correttamente trasmuta - in oro tutto ciò che vede: i protagonisti della cronaca, gli oggetti di uso quotidiano, ma anche mucche, tartarughe, fiori, diventano un qualcosa che attrae, che tutti vorrebbero avere, che brilla come il metallo più prezioso. In questo, al pari di tante altre sue geniali intuizioni, fu precursore dei nostri tempi. Fu lui il primo a trasformare l' opera in un prodotto culturale, fu lui il primo a definirsi non artista, ma "businessman dell' arte" anticipando lo stato attuale del mercato del contemporaneo. Nel cogliere desideri, illusioni e angosce di allora Warhol ha di fatto introdotto visioni e strategie operative che sono tutt' oggi evidenti nella nostra società iper-moderna confermando la sua lungimiranza nella capacità di confrontarsi con la cultura di massa, l'era dell' informazione e dell'imperialismo tecnologico globale. Quando internet e i cellulari nemmeno esistevano, Andy Warhol disse: «In futuro, ciascuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti». Correva l' anno 1968, e il padre della pop art aveva appena urlato al mondo la sua profezia: il rincorrere una fama virtuale che dura il tempo di una sigaretta, è divenuta l' occupazione quotidiana di milioni di internauti che fanno dei social la vetrina autoreferenziale della propria vita, fatta di selfie, di vacanze, di aperitivi, tutto immancabilmente documentato da resoconti fotografici che danno l' idea che tutti siano felici e soddisfatti. Realtà o finzione?