Pasquale Valitutti è l'unico testimone vivente della tragica notte
tra il 15 ed il 16 dicembre quando, dopo ore estenuanti di attesa,
seduto dietro la porta dell'ufficio del commissario Calabresi, aspettava
che Pinelli uscisse dalla stanza per essere interrogato. "Saranno
state le 11 e mezzo, grosso modo, in quella stanza succede qualcosa che
io ho sempre descritto nel modo più oggettivo, più serio, scrupoloso,
dei rumori, un trambusto, come una rissa, come se si rovesciassero dei
mobili, delle sedie, delle voci concitate", racconta commosso ancora
oggi. Il racconto che fa Pasquale Valitutti di quella sera è sempre lo
stesso da 44 anni, non è mai cambiato di una virgola: Calabresi era in
quella stanza quando Pinelli si gettò dalla finestra. "Il compagno
Giuseppe Pinelli è stato materialmente assassinato dai signori:
Calabresi, Lograno, Panessa, Muccilli, Mainardi e Caracuta su mandato
degli alti vertici di polizia e governo", ripete Lello. "Se qualcuno si
sente calunniato sporga denuncia e ci si dia la possibilità di un nuovo
processo. Io continuo a chiedere giustizia e verità per il nostro
compagno Giuseppe Pinelli. Si aprano gli armadi, si rimuova il segreto
di Stato sulle stragi e si dica la verità su tutto quel periodo".
Quanto
alla figura di Calabresi, santificata dalla fiction di RaiUno, Lello
ricorda nella sua intervista rilasciata a Umanità Nova "che Calabresi
ce l’aveva con gli anarchici da molto prima di Piazza Fontana, dalle
bombe della fiera campionaria di Milano dell’aprile precedente, a quelle
sui treni in estate. Lui era lo sbirro che lavorava sugli anarchici, ed
era convinto che fossero dei bombaroli. A causa sua molti compagni sono
stati in prigione parecchio tempo anche se poi assolti; a causa sua
Pietro Valpreda se n’era andato da Milano, perché non ne poteva più di
aver rotte le scatole da lui, e a causa sua Pino Pinelli veniva
continuamente perseguitato". Quanto alle doti investigative del
commissario Lello sostiene che "era un emerito incapace, perché di
fronte a bombe di chiara matrice fascista, ha continuato a prendersela
con gli anarchici solo perché noi costituivamo il suo “ambito di
lavoro”. In secondo luogo, lui ha trattenuto Pinelli in questura oltre i
limiti consentiti per legge senza avvisare il giudice, ed era il
responsabile oggettivo della sua custodia. In terzo luogo, ha calunniato
pubblicamente Pinelli durante la prima conferenza stampa, dicendo che
era in qualche modo colpevole. In quarto luogo, durante il processo
Calabresi-Lotta Continua, quando il giudice volendo vederci più chiaro
chiese di riesumare il corpo di Pino, lui fece ricusare lo stesso dal
suo avvocato. Si offendeva perché lo chiamavano assassino o “commissario
finestra”, ma è lui che ha impedito che si andasse avanti verso la
verità. Tutto questo è oggettivo. Questo era Calabresi".
Infine
Lello racconta cosa pensava Pinelli di Calabresi: "Pino diceva che era
un poliziotto falso e pericoloso, perché contrariamente ai suoi
colleghi, che erano 'animaleschi', lui era capace di alternare momenti
di finta confidenza e fiducia a momenti di durezza. Come tale tutti lo
abbiamo conosciuto".
A tutto questo aggiungiamo il verbale, pubblicato da Lotta Continua nel numero del 1 maggio 1970, di un compagno arrestato e tenuto in prigione da più di un anno, sotto l’accusa di aver partecipato agli attentati del 25 aprile al padiglione Fiat della Fiera. «Dichiaro i motivi per cui i verbali da me precedentemente firmati sono completamente falsi. Per 3 giorni in Questura sono rimasto senza dormire e mi veniva imposto di stare in piedi quando le mie risposte non corrispondevano alla volontà degli agenti. Essi non hanno cessato un minuto di interrogarmi e per questo si davano il cambio. Solo al terzo giorno mi è stato concesso di mangiare; ho dovuto affrontare un viaggio di notte da Pisa a Milano, ero intirizzito perchè non avevo con me indumenti caldi. Ma quello che più ha influito nel farmi firmare i verbali scritti dalla polizia sono state le percosse e le minacce. Era la prima volta che subivo violenza fisica. Sono stato schiaffeggiato, colpito alla nuca, preso a pugni, mi venivano tirati i capelli, e torti i nervi del collo. Rendeva più terribile le percosse il fatto che avvenivano all’improvviso dopo aver fatto chiudere le imposte, e venivo colpito al buio. In particolare ricordo di essere stato colpito dal dr. Zagari che mi accolse al mio arrivo da Pisa alle 3 di notte con una nutrita scarica di schiaffi, e dagli agenti Mucilli e Panessa. Quanto alle minacce, consistevano nel terrorizzarmi annunciandomi, codice alla mano, a quanti anni di carcere avrei potuto essere condannato, cioè fino a venti anni. Tali minacce mi furono ripetute in carcere da parte del dr. Calabresi. Non mi sono mai resto conto della gravità delle affermazioni false che ero costretto a sottoscrivere perché avevo coscienza che i fatti erano diversi e pensavo che la testimonianza di due persone adulte, quali l’architetto Corradini e la moglie non avrebbero lasciato dubbi. Questo perché pensavo che non mi credessero perché ero un ragazzo. Mi sono sempre fin dall’inizio dichiarato estraneo ai fatti".
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