martedì 21 gennaio 2020

Il duro lavoro delle donne

"Scavi a Pompei"
Filomena osserva pensierosa gli antichi edifici di Pompei di cui non conosce la storia. Ai suoi piedi c'è una cesta vuota che dovrà riempire con i resti delle preziose mura sgretolate ben visibili attorno. Vicino a lei altre ragazze, cariche come muli, che portano via macerie. Siamo nel 1870 e da poco sono ripresi gli scavi per riportare alla luce la città sepolta dalla lava del Vesuvio. Una frotta di fanciulle era stata assoldata nel cantiere per trasportare cocci, tegole, frammenti murari, pietre. Una mansione faticosa assegnata alle donne per speculare sui salari, decisamente più bassi rispetto a quanto percepivano gli uomini. Una fatica sottolineata dai cronisti del tempo, come Vittorio Imbriani, che nel 1863 descrivendo gli scavi di Pompei mette in luce proprio «quelle misere fanciulle che muovono a torme con le ceste di terra in capo che ti si trasformano nelle dolenti Danaidi». Mentre Filomena si spezza la schiena, c'è un pittore, Filippo Palizzi, che sta lì ore e ore a ritrarla. Filomena (sappiamo che si chiama così perché compare anche in un altro quadro intitolato con il suo nome) è, più o meno consapevolmente, la sua modella.
"La raccolta del granturco"

mercoledì 8 gennaio 2020

Zehra Doğan, avremo anche giorni migliori

Zehra Doğan, è un'artista curda, giornalista e femminsita, rinchiusa nelle carceri turche con l’accusa di propaganda terrorista per aver mostrato la violenza dell’esercito di Erdogan con una sua opera. Si trattava di un acquarello postato su Twitter tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.


martedì 7 gennaio 2020

John Baldessari il "gigante gentile" dell'arte concettuale

Capita che alcuni artisti, a un certo punto della vita, si guardino indietro e si accorgano che tutto quello fatto fino ad allora non li rappresenta più. Decidono così di cambiare direzione rinnegando la propria formazione e produzione. Successe anche all'americano John Baldessari: inorridito davanti ai suoi dipinti giovanili decise di disfarsene in maniera eclatante.
Era il 1970 e lo fece in maniera artistica con una performance «The Cremation Project» destinata a scrivere un nuovo capitolo della storia dell' arte. Andò all' obitorio "Cypress View Mortuary" e fece cremare tutti i quadri in suo possesso. La cenere dei dipinti bruciati venne poi utilizzata come ingrediente per impastare alcune gallette, cotte e riposte in un barattolo, come in una sorta di urna cineraria. Per Baldessari la nuova opera d'arte consisteva nei Corpus Wafers, gli indigesti biscotti di quadro. Poi realizzò una targa metallica con inciso il suo nome e le date del debutto da pittore e dell' abbandono dell' arte tradizionale: «John Anthony Baldessari May 1953 March 1966». Così facendo, da una parte, da buon erede di Marcel Duchamp, Baldessari fece trionfare l'idea sulla forma, dall'altra impiegando i metodi distruttivi di Gustav Metzger e Jean Tinguely (nel suo caso un forno crematorio) mise in relazione la performance all'idea della morte e alla rinascita. «The Cremation Project» fu esposto al MoMA di New York nella mostra "Information".