mercoledì 21 febbraio 2018

Dürer, il maestro del Rinascimento che inventò il copyright

Dürer, Melancholia
Quando Jean-Paul Sartre nel 1932 scrisse il romanzo La nausea voleva intitolarla Melancholia, in onore dell' incisione del 1514 di Albrecht Dürer. Nel bulino è rappresentata la percezione degli insanabili conflitti del cosmo e le connessioni alchemiche tra razionalità e creazione artistica: c'è il quadrato magico, il compasso, il poliedro, la sfera, la bilancia e clessidra. E pure l' arcobaleno - che sintetizza lo spettro dei colori destinati ad apparire nel crogiolo, dove il metallo deve essere fuso, per subire l'opera di purificazione, sino a trasformarsi in materia pretta - e una cometa che rimandano a un sentimento molto contemporaneo: un malessere che scava nella dimensione psicologica nei confronti dell' esistenza dell'uomo, in relazione all'ambiente circostante che Sartre tramutò in nausea.

domenica 4 febbraio 2018

Marianne Liebe Brandt, la designer del Bauhaus che inventò la Kandem

Autoritratto, 1929
Il nome di Marianne Liebe Brandt forse ai più non dirà nulla, ma gli oggetti che ha creato quasi un secolo fa sono conosciuti un po' da tutti, se non altro perchè sono molto usati ancora oggi. Si tratta di pezzi di design diventati icone (gli originali sono nei musei, come il British ad esempio), nuovi tipi di apparecchi per l'illuminazione progettati a Dessau negli anni Trenta e destinati a rimanere emblematici dello "stile Bauhaus": la lampada da soffitto a globo, quella a parete con braccio orientabile, quella a saliscendi - per citare i modelli più famosi - e quella da comodino Kandem che quest' anno compie novanta anni. Prodotta dalla Korting&Mathiesen di Lipsia, la Kandem di Marianne, essenziale e compatta, rappresenta la sintesi dell'idea stessa di lampada.

giovedì 1 febbraio 2018

Frida Kahlo bocciata in fotografia da Tina Modotti

Una delle poche foto di Frida
Chi l’avrebbe mai detto! Frida Kahlo, una delle più significative artiste dell’arte del Novecento bocciata dalla sua amica, amante, confidente la fotografa italiana, Tina Modotti. Ovviamente non in pittura, ci mancherebbe altro. Ma proprio in fotografia: per la scelta dei soggetti, le inquadrature, la luce. Frida si impegnava, scattava, osava e chiedeva lumi alla compagna che con grande disponibilità dispensava consigli su cosa e come fotografare. Del resto per la Kahlo, che era figlia di un fotografo, la macchina era uno strumento assolutamente familiare, ma sono pochissime le immagini che portano la sua firma. Una è il ritratto dell’amato nipote Carlos Veraza (1929), un’altra è il ritratto di uno dei cani che popolavano il giardino di Casa Azul, ma la più suggestiva è quella che mostra una bambola di pezza distesa su una stuoia, vicino a un cavallo al galoppo e un carretto di legno: una natura morta che allude all’incidente stradale in cui rimase coinvolta a diciott’anni e che segnò profondamente la sua vita e la sua arte.  Poi ce ne sono altre non firmate, ma che comunque per la cifra stilistica possono esserle attribuite. Tra queste gli edifici di New York ripresi dal basso, l’occhio di Rivera e lo scheletro fantoccio appoggiato di profilo che le servì molto probabilmente come modello per l’opera El Sueno del 1940.