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Una delle poche foto di Frida |
Chi l’avrebbe mai detto!
Frida Kahlo, una delle più significative artiste dell’arte del Novecento bocciata dalla sua amica, amante, confidente la fotografa italiana,
Tina Modotti. Ovviamente non in pittura, ci mancherebbe altro. Ma proprio in fotografia: per la scelta dei soggetti, le inquadrature, la luce. Frida si impegnava, scattava, osava e chiedeva lumi alla compagna che con grande disponibilità dispensava consigli su cosa e come fotografare. Del resto per la Kahlo, che era figlia di un fotografo, la macchina era uno strumento assolutamente familiare, ma sono pochissime le immagini che portano la sua firma. Una è il ritratto dell’amato nipote Carlos Veraza (1929), un’altra è il ritratto di uno dei cani che popolavano il giardino di Casa Azul, ma la più suggestiva è quella che mostra una bambola di pezza distesa su una stuoia, vicino a un cavallo al galoppo e un carretto di legno: una natura morta che allude all’incidente stradale in cui rimase coinvolta a diciott’anni e che segnò profondamente la sua vita e la sua arte. Poi ce ne sono altre non firmate, ma che comunque per la cifra stilistica possono esserle attribuite. Tra queste gli edifici di New York ripresi dal basso, l’occhio di Rivera e lo scheletro fantoccio appoggiato di profilo che le servì molto probabilmente come modello per l’opera El Sueno del 1940.
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Lo scheletro |
Tutte queste fotografie erano rimaste chiuse nel bagno di Casa Azul a Città del Messico che il marito Diego Rivera, quando nel 1954 Frida morì aveva trasformato in un tempio a lei dedicato riempiendolo con alcuni frammenti della sua vita tumultuosa. La Kahlo aveva chiesto che la stanza fosse sigillata per quindici anni dopo la sua morte, ma ce ne sono voluti cinquanta prima che venisse aperta quella porta. E immenso fu lo stupore dei ricercatori entrando nella “casa blu” a Coyoacán: disegni, stampe, lettere, fotografie, libri, telegrammi, cartoline, bozzetti, tagli di giornale, vestiti, oggetti personali, medicine videro la luce dopo essere stati chiusi in casse e bauli all’interno di diversi spazi della casa, tra i quali proprio la stanza da bagno personale di Frida.
Diego Sileo, conservatore del Pac di Milano ed unico europeo del progetto di ricerca sul nuovo archivio, che da allora non ha mai abbandonato l’idea di raccontare la rivoluzionaria Kahlo con una nuova chiave di lettura: quella della sua arte.
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New York |
Un archivio storico-artistico di inestimabile valore in grado di offrire inediti strumenti di lettura dell’opera e della vita di Frida e di Diego Rivera, che - come pochi altri casi prima di loro - hanno saputo cambiare la storia culturale di un intero Paese. Tra quei ricercatori c’era anche
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L'occhio di Diego Rivera |
Ecco allora, dopo un lavoro durato sette anni, la mostra
Frida. Oltre il mito che apre oggi al Museo delle Culture di Milano (Mudec). Prodotta da 24 ORE Cultura, l’esposizione riunisce per la prima volta in Italia e dopo 15 anni dall’ultima volta, tutte le opere dell’artista provenienti dal museo “Dolores Olmedo” di Città del Messico e dalla “Jacques and Natasha Gelman Collection” insieme a prestiti di musei internazionali che permettono di ammirare alcuni dei capolavori di Frida mai visti nel nostro Paese.
Oltre il mito, curata da Sileo, intende superare la visione semplicistica del lavoro della Kahlo, derivata dall’intreccio inestricabile tra la sua vita e la sua opera, dimostrando che per un’analisi seria e approfondita della sua poetica è necessario spingersi al di là dei limiti della sua biografia superando il mito consolidato e alimentato dalle mode degli ultimi decenni.
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Il cane di casa Azul |
La mostra, per come è concepita, dà infatti la possibilità di cogliere e apprezzare le capacità pittoriche di altissimo livello di Frida (c’è da perdere la testa ad osservare gli sfondi dei suoi autoritratti) che non a torto fanno di lei una dei grandi Maestri del secolo scorso. La mostra si potrà visitare fino al 3 giugno 2018.
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