sabato 30 marzo 2019

Ibrahim Mahama, la sua Arte è un pugno nello stomaco

Spesso le cose diventano evidenti e importanti nel momento stesso in cui vengono nascoste alla vista. Esistono, lo sappiamo, ma tolte al nostro sguardo rivelano tutto il vuoto che lascia il loro non esserci. Ci si accorge di quanto bene si vuole a una persona quando questa è lontana, ci si rammarica per tutte le volte non gli abbiamo prestato attenzione, che non abbiamo approfondito la sua conoscenza. Lo stesso meccanismo può essere applicato agli oggetti e perfino ai monumenti. Come i due caselli daziari di Porta Venezia a Milano.
Ieri mattina chi si è trovato a passare per quel nevralgico crocevia, è rimasto basito: cosa diavolo è successo ai due edifici neoclassici simbolo della città? Chi li ha "impacchettati" con quei sacchi sporchi, scarabocchiati e strappati? Ma soprattutto perché tutto questo degrado? La maggior parte di turisti e milanesi a tutto hanno pensato tranne che quella fosse un'opera di "land art" come quelle di Christo. C'è chi ha pensato ad un'occupazione da parte dei migranti. C'è chi ha pensato a un imminente restauro: che quei teloni servano a coprire il cantiere. Altri hanno creduto che fosse il set cinematografico di un film ambientato in qualche favela, alcuni hanno immaginato una spettacolare sorpresa nascosta nel loro interno.
Niente di tutto questo. Entrando nel primo casello "impacchettato" si scopre - c'è tanto di cartello - che quello è uno degli interventi su scala urbanistica di Ibrahim Mahama in occasione dell' Art Week e della Settimana del Design (dall'1 al 14 aprile).

venerdì 22 marzo 2019

Letizia Battaglia, fotografia come scelta di vita

Capelli rosa tagliati a caschetto, la sigaretta in una mano, la Leica nell'altra. Letizia Battaglia ti guarda dritto in faccia quando ti parla ed è impossibile non rimanere sedotti da quella luce che brilla nei suoi occhi così come si resta contagiati da quella carica di umanità che sprigiona.
Ha ottantaquattro anni Letizia Battaglia. Lei, prima donna europea premiata a New York con l'Eugene Smith (il più prestigioso dei riconoscimenti, il nobel per la fotografia), diventata famosa per i suoi scatti ai morti ammazzati dalla mafia (tra cui Pier Santi Mattarella) non ci sta ad essere etichettata come fotografa e ancor meno a essere conosciuta nel mondo semplicemente come "la fotografa della mafia": «Non diciamo sciocchezze! Io sono una persona, non sono una fotografa». E lo dice con così tanta convinzione che questa frase campeggia all' ingresso dell' antologica a lei dedicata che apre oggi alla Casa dei Tre Oci a Venezia, curata da Francesca Alfano Miglietti. «Quando ho fotografato l'ho fatto perché dovevo», puntualizza smontando in pochi secondi il falso mito del "divino artefice", del demiurgo e dell' ispirazione sovrannaturale.
Rivendica con orgoglio la necessità di fare quelle foto per portarsi a casa uno stipendio (era una reporter de L' Ora), e rivela senza nessun problema che la fotografia è stata la sua terapia. «La macchinetta che mi ha regalato una mia amica è stata determinante. Ero una donna con tanti problemi, ero infelice, inquieta, non avevo elaborato la strada: ero madre, ma volevo essere io», ricorda. «Sono riuscita a riappropriarmi di me quando ho iniziato a fotografare». E ancora: «La fotografia l'ho vissuta come documento, come interpretazione e come tanto altro ancora. L'ho vissuta come acqua dentro la quale mi sono immersa, mi sono lavata e purificata. L'ho vissuta come salvezza e come verità».

mercoledì 6 marzo 2019

Birgit Jürgenssen: "Io sono" donna, artista, femminista

Hausfrauen-kucheshurze
Nel 1975 Birgit Jürgenssen costruì e poi si infilò il grembiule da casalinga: "Hausfrauen-kucheshurze" era una sorta di cucina indossabile con due fuochi e un forno dal quale fuoriusciva un pane a forma di pene. Poi si fotografò inquadrata da davanti e di profilo: il corpo dell’artista e la cucina diventano un unicum in quella rappresentazione ironica che mette in discussione i pregiudizi e i modelli di comportamento a cui erano (sono) soggette le donne all’interno della società.

domenica 3 marzo 2019

Lola June, the baby artist who making crazy New York


Other than dolls, pans, or balloons: her games are colors and brushes. Lola June, only two years old, sitting on the floor mixes tempera until to find the color gradation she likes the most. Then she spreads it on the canvas with a gestural storm and irreverent sign: what comes out are fantastic worlds in which her imagination over takes. Artworks that are literally making crazy the collectors of New York.
Lola June has just inaugurated her first solo exhibition in a gallery in Union Square, one of the most iconic squares of the city, selling in a few hours much more than many artist on the market of the Big Apple can sell in an year. 

sabato 2 marzo 2019

Lola June, la baby artista di due anni che sta facendo impazzire New York


Altro che bambole, pentoline, o palloni: i suoi giochi sono colori e pennelli. Lola June ha appena due anni e seduta per terra mescola la tempera fino a trovare la gradazione cromatica che più le piace, poi la stende sulla tela con una tempesta gestuale e segnica prorompente: quello che viene fuori sono i mondi fantastici in cui la sua immaginazione di bimba sconfina. Opere d' arte a tutti gli effetti che stanno facendo impazzire i collezionisti di New York.
Lola June ha infatti appena inaugurato la sua prima mostra personale in una galleria a Union Square, una delle piazze iconiche della città, vendendo in poche ore molto più di quanto riescano in un anno tanti creativi sul mercato della Grande Mela. Il giorno dell' inaugurazione, racconta la rivista The Cute che le ha dedicato un ampio servizio, la piccola pittrice ha accolto i suoi estimatori con una particolarissima acconciatura (nove codini attorcigliati e tenuti su da nastrini colorati), il pannolone sotto i pantaloni all' ultima moda maculati di rosa e le mani sporche di ciò che restava di un biscotto alla vaniglia e cioccolato sbriciolato.

venerdì 1 marzo 2019

Architettura e design dalla parte della Natura #Triennale


La nazione delle Piante
La comunità internazionale del design e dell’architettura si interroga su come ricostruire il rapporto, ormai “strappato”, dell’uomo con la natura. E lo fa con una delle sue manifestazio-ni più importanti: la Triennale di Milano. La XXII edizione dell’Esposizione Internazionale che inaugura oggi si chiama infatti «Broken Nature» e propone approcci creativi che mirano a correggere il corso autodistruttivo dell’umanità. A firmarla come curatrice è Paola Antonelli che arriva dal Moma di New York ingaggiata dal presidente di Triennale Stefano Boeri per coordinare questa importante manifestazione che, riprendendo la tradizione della Triennale, la connette ad uno dei grandi temi della nostra contemporaneità: come possiamo restituire alla natura quanto in questi secoli le è stato sottratto?