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Quest’immagine, emblematica di tutta la produzione artistica di Birgit Jürgenssen, sarà esposta alla GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo che il 7 marzo prossimo inaugura "Io sono", la prima grande retrospettiva che un’istituzione museale italiana dedica all’austriaca, tra le più importanti e sofisticate interpreti dell’avanguardia femminista internazionale (stroncata da un tumore a soli 54 anni nel 2003) che ha colto l’essenza del suo tempo stravolgendo i concetti di bellezza femminile e sessualità, sovvertendo le convenzioni attraverso l’uso performativo della fotografia.
Nelle sale della Galleria verranno esposti però non solo gli scatti di Birgit, ma anche disegni, collage, sculture, fotografie, rayogrammi, gouache e cianotipie a documentare una ricerca artistica lunga quarant’anni: dalle copie dei dipinti di Picasso lasciati sul quaderno del fratello firmate «BICASSO Jürgenssen», ai lavori più maturi, di grande formato, passando attraverso i giochi linguistici e letterari, che raccontano la contaminazione, narrazione e rappresentazione, fino a focalizzarsi, nella parte centrale, sul genere e la natura, i due grandi temi che contraddistinguono l'arte di Birgit. Un’arte fortemente segnata dalle sue frequentazioni, in giovanissima età, con i surrealisti. A 17 anni era infatti a Parigi e in quell’ambiente attinse i linguaggi per trattare convenzioni sociali, sessualità, canoni di bellezza e rapporti tra i sessi con un linguaggio ironico e con un umorismo sovversivo che ha spesso coinvolto la sua stessa immagine.
Il corpo messo in scena non è mai ostentatamente esibito, quanto piuttosto celato e poi svelato attraverso l’uso di maschere, inserti, materiali naturali, quasi delle estensioni, o protesi, utili a scandagliare - influenzata dalla psicoanalisi di Freud, dall’etnologia e dalla critica sociale - le profondità psicologiche ed emotive del femminile.
L’opera di Birgit Jürgenssen, che si mise alla prova anche una brillante serie di illustrazioni che criticano ferocemente la società maschilista e patriarcale degli anni Cinquanta e Sessanta, assume un nuovo significato nel nostro presente: in un momento storico in cui assistiamo alla rimessa in discussione di principi e diritti fondamentali e a una progressiva banalizzazione delle questioni legate al femminile e, più in generale, all’identità di genere, il suo approccio più radicato nella sfera individuale e intima infonde nuova concretezza al potere emancipatorio dell’arte.
La mostra "Io sono", curata da Natascha Burger, Nicole Fritz, si potrà visitare fino al 19 maggio.
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