Spesso le cose diventano evidenti e importanti nel momento stesso in cui
vengono nascoste alla vista. Esistono, lo sappiamo, ma tolte al nostro
sguardo rivelano tutto il vuoto che lascia il loro non esserci. Ci si
accorge di quanto bene si vuole a una
persona quando questa è lontana, ci si rammarica per tutte le volte non
gli abbiamo prestato attenzione, che non abbiamo approfondito la sua
conoscenza. Lo stesso meccanismo può essere applicato agli oggetti e
perfino ai monumenti. Come i due caselli daziari
di Porta Venezia a Milano.
Ieri mattina chi si è trovato a passare per quel nevralgico crocevia, è
rimasto basito: cosa diavolo è successo ai due edifici neoclassici
simbolo della città? Chi li ha "impacchettati" con quei sacchi sporchi,
scarabocchiati e strappati? Ma soprattutto perché
tutto questo degrado? La maggior parte di turisti e milanesi a tutto
hanno pensato tranne che quella fosse un'opera di "land art" come
quelle di Christo. C'è chi ha pensato ad un'occupazione da parte dei
migranti. C'è chi ha pensato a un imminente
restauro: che quei teloni servano a coprire il cantiere. Altri hanno
creduto che fosse il set cinematografico di un film ambientato in
qualche favela, alcuni hanno immaginato una spettacolare
sorpresa nascosta nel loro interno.
Niente di tutto questo. Entrando nel primo
casello "impacchettato" si scopre - c'è tanto di cartello - che quello è
uno degli interventi su scala urbanistica di Ibrahim Mahama in
occasione dell' Art Week e della Settimana del Design (dall'1 al 14 aprile).
L'artista che rappresenterà il Ghana alla prossima Biennale di Venezia -
celebre per aver "incapsulato" in giro per il mondo musei, biblioteche,
palazzi governativi, teatri e stazioni ferroviarie - è stato invitato
dalla Fondazione Nicola Trussardi per realizzare
a Milano una sua installazione con l'obiettivo di conferire ai due
edifici una nuova, temporanea, identità: l'obiettivo è quello di
spingere l'osservatore a guardare i due caselli daziari non solo come
semplici monumenti, ma a riflettere sulla loro origine
storica e sulla funzione simbolica ed economica come luogo di scambio
commerciale. Del resto Porta Venezia per secoli è stata per Milano la
porta d'Oriente che ha contribuito a definire la topografia della città
e la relazione tra ciò che c' era entro le
mura e il mondo esterno.
«Sono stato prima di tutto attratto da questo materiale
perché da noi è "comune"», ha spiegato Mahama. «In Ghana quasi ogni casa
ne ha. Ha molteplici usi. Quando si prende un autobus in una giornata piovosa ed è necessario
togliere il fango dai piedi c'è un sacco di juta. Se c'è un incendio
si può spegnere con un sacco di juta bagnato. Sono stato attirato prima
dalla sua funzionalità e più tardi anche dalla
sua estetica che acquisisce nel corso del tempo, grazie ai suoi vari
proprietari.
Sono interessato a come la crisi e il fallimento sono assorbiti in
questo materiale».
Ecco allora che si spiegano anche quei sacchi di juta con i
quali Ibrahim Mahama ricopre le cose. Come furono alla base dell'
ispirazione di Alberto Burri i sacchi americani usati per la
distribuzione in Europa degli aiuti alimentari del piano Marshall,
così i sacchi di Mahama - strappati, rattoppati e marcati con vari
segni e coordinate - con le loro drammatiche ricuciture raffazzonate
sono simbolo dei mercati del Ghana (dove è nato nel 1987, vive e
lavora), della sua economia fragile basata sulla produzione
di cacao nonostante la ricchezza di risorse minerarie come oro,
diamanti e petrolio.Importato dall'India per contenerne i semi, il sacco finisce per
trasportare tutt'altro (dal cacao al carbone; dal riso ai fagioli) e
diventa per Mahama amplificatore di storie.
Ma i sacchi di juta di Mahama, cuciti a mano nel suo
studio da donne emarginate, racchiudono allo stesso tempo un significato
più nascosto che riguarda la forza lavoro che
si cela dietro la circolazione internazionale delle merci. Il sacco,
spiega l'artista, «racconta delle mani che l'hanno sollevato, come dei
prodotti che ha portato con sé, tra porti, magazzini, mercati e città.
Le condizioni delle persone vi restano imprigionate.
E lo stesso accade ai luoghi che attraversa».
Se l'arte per essere considerata Arte con la A maiuscola deve essere un pugno nello stomaco, l'obiettivo di Mahama è centrato. Quei due caselli daziari di Porta Venezia sono davvero un colpo per l'immagine della città. E anche per il nostro stomaco delicato.
L'opera di Ibrahim Mahama "A Friend", sarà inaugurata, e spiegata dal curatore Massimiliano Gioni, il prossimo 2 aprile.
Nessun commento:
Posta un commento