La madre di Robert Capa sulla tomba del figlio in Vietnam |
Allo stesso modo niente è più assoluto e al contempo relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come il tema della famiglia. E proprio la famiglia è al centro della mostra, prodotta da Ore Cultura-Gruppo 24 Ore, che in anteprima mondiale apre domani al Mudec Photo di Milano. Elliott Erwitt dall’alto dei suoi ineffabili 91 anni, insieme alla curatrice Biba Giacchetti, ha selezionato una sessantina di scatti, che meglio hanno descritto, in tutta la sua lunghissima carriera, le sfaccettature di un concetto così inesprimibile e totalizzante come quello della famiglia. Basti pensare, fa notare Giacchetti, che «neanche la bibbia della parola, il dizionario Treccani, riesce a esprimerne il concetto in poche righe. Si spazia dalla comunità umana alla convivenza, dai rapporti di parentela al più vasto e astratto concetto di affinità». Ecco allora che in mostra saranno alternate immagini ironiche a spaccati sociali, matrimoni nudisti, famiglie allargate o molto singolari, metafore e finali “aperti”, come appunto la famosa foto del matrimonio di Bratsk.
Family, questo il titolo dell’esposizione, si apre con l’immagine di Ellen, la primogenita neonata di Erwitt, con la mamma e il gatto Brutus; poi c’è Jackie al funerale di JFK che svela tratti intimi, emozioni vanamente nascoste dalla veletta indossata dalla vedova per un pudore dignitoso. «Erwitt», rivela la curatrice, «scoprì solo in camera oscura, sviluppando l’immagine, una lacrima non domata che la veletta aveva trattenuto». Ma c’è anche la foto commovente del ragazzino che si stringe al padre seduto a tavola tanto cara a Erwitt. «La realizzai su commissione, ma fu scartata», rivela il fotografo. «Il committente voleva immagini allegre di bambini felici, così dovetti andare a cercare la foto di un bambino contento. Forse la mia reazione è puramente personale, perché quell’immagine mi ricorda me stesso. Il bambino viveva con i nonni e il padre andava a trovarlo per il pranzo della domenica. Mentre gli altri parlavano, lui allungò le braccia e si strinse al padre. Guardate gli occhi del padre mentre questo accade. Sono occhi che parlano». Quell’immagine, puntualizza ancora Biba Giacchetti, segnò una scelta di metodo. Da quel momento Erwitt distinse chiaramente quanto era dovuto alla committenza e quello che lui stesso riteneva davvero interessante, e utilizzò sempre due macchine fotografiche, una per il lavoro e una per il suo linguaggio privato. Il bambino era parte di un servizio sui piccoli cowboys, commissionato dall’importante rivista Holiday. Elliott si fermò alcuni giorni con la famiglia e lo stesso bambino (Jack Elton Brow aveva perso la madre; il padre lavorava nelle praterie ed era assente la maggior parte del tempo) appare anche in un altro scatto commovente con il suo cane, la sua famiglia.
Ecco, i cani. Per Erwitt le foto dei cani hanno una duplice chiave di lettura: «Colti in determinate situazioni, i cani sono semplicemente divertenti. Ma i cani possiedono anche qualità umane». Così l’alano, il chihuahua in tricot e un paio di piedi umani sono a tutti gli effetti una famiglia. Tanto da meritare la copertina della collezione esposta al Mudec. "Elliott Erwitt. Family"è un piccolo campionario di storie umane: il maestro conduce il suo racconto per immagini senza tesi, in totale sospensione di giudizio. Ci racconta i grandi eventi che hanno fatto la storia e i piccoli accidenti della quotidianità, ci ricorda che possiamo essere la famiglia che scegliamo: quella americana, ingessata e rigida che posa sul sofà negli anni Sessanta, o quella che infrange la barriera della solitudine eleggendo a membro l’animale prediletto; famiglie diverse in cui riconoscersi, o da cui prendere le distanze con un sorriso.
Si può visitare fino al 15 marzo.
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