sabato 7 dicembre 2019

Emilio Vedova, la rabbia e la passione del pittore partigiano

Passione e rabbia fuse insieme dal colore. Pennellate grasse e nervose che allagano quadri immensi. Gesti titanici e ciechi che travolgono tutto. Foga, impeto e furore che smontano e rimontano strutture. È l'arte di Emilio Vedova, l'artista che nel Novecento più di tutti incarna l'uomo in rivolta. «La sua pittura è un' appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e del no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi», sostiene Werner Haftmann. «La tela, come una membrana nel mezzo della disputa registra il corso della contesa».
La sua biografia parla da sola. Negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, Vedova fece parte, a Milano, del gruppo di "Corrente", nella cui galleria presentò una delle sue prime "personali". Dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza romana. Militò poi, col nome di battaglia di "Barabba" (scelto per la folta barba che ne avrebbe incorniciato il volto per tutta la vita), in una formazione partigiana molto attiva sull'altipiano bellunese. Nel corso di un rastrellamento "Barabba" fu ferito, ma riuscì, fortunosamente ad evitare di essere catturato dai nazifascisti.


Dopo la Liberazione, Vedova tornò alla sua attività di pittore sempre mantenendosi coerente con i suoi ideali antifascisti, anche se mantenne le distanze dalla poetica degli artisti del Realismo. Nel 1946 elaborò, con Ennio Morlotti, il manifesto "Oltre Guernica" (la città spagnola bombardata dai nazisti") e fu tra i fondatori della "Nuova secessione artistica italiana- Fronte nuovo delle arti". Nel 1955 espose per la prima volta a "Documenta", la rassegna artistica che lanciò le avanguardie postbelliche ed alla quale partecipò altre tre volte. Nel 1960 ecco per Vedova il Gran premio della pittura della Biennale di Venezia.
A 100 anni dalla nascita Milano gli rende omaggio con la retrospettiva curata da Germano Celant «Emilio Vedova» che apre i battenti domani nella prestigiosa Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. In un allestimento progettato dallo studio Alvisi Kiromoto di Roma che sarebbe piaciuto allo stesso Vedova (ne siamo sicuri perché è più un'installazione artistica che non una esposizione asettica di opere), sono presentati lavori che vanno dagli anni '40 agli anni '90. Nella Sala, quella dove Picasso espose la sua Guernica, è stata costruita una parete lunga 30 metri e alta 5, circondata da una struttura luminosa indipendente che attraversa diagonalmente il salone, quasi provocandone la severità architettonica, in uno «scontro di situazioni», come si sarebbe espresso Vedova. In questo contesto lacerato sono esposte, sia a muro sia a pavimento, una sessantina di opere, alcune delle quali di imponenti dimensioni, tra cui il celebre ciclo Absurdes Berliner Tagebuch '64 (1964).
L'allestimento fa emergere nelle due parti contrapposte gli aspetti innovativi e radicali del suo contributo linguistico alle vicende dell' arte moderna e contemporanea mettendo a confronto i suoi lavori degli anni '60, dipinti e sculture, come il ciclo dei Plurimi, con le grandi tele e i Dischi, installati a pavimento, degli anni '80/'90. In questa contrapposizione tra estremi si esplicita il valore fondamentale nel contesto dell'arte contemporanea internazionale dell'opera di Vedova che già a partire dagli anni '50 rompe con la rigidità formale dell'astrazione arrivando a realizzare tele dal segno pittorico aperto e libero, drammatico e graffiante, connesso alla sua gestualità. Questo fare informe, intriso di materialismo, che rifiuta di lasciarsi assimilare a qualsiasi narrazione e figurazione che non sia quella dell'inconscio e della forza emotiva dell'artista, lo porta nel 1962 a spezzare anche la superficie del quadro con la serie dei Plurimi (articolazioni lignee coperte di stratificazioni cromatiche), che esemplificano il suo desiderio di sacrificio dell'arte a favore di un mutamento del contesto ambientale e sociale. Negli anni '70 Vedova "irrigidisce" le strutture dei Plurimi, costringendoli a scorrere su rigidi binari (il ciclo Lacerazione, Plurimi/Binari), quasi che la ribellione estetica fosse incanalata e portata a ripiegarsi su se stessa. E poi c'è la pulsione irrazionale dei ...Cosiddetti Carnevali... (1977-1983) che si connettono all'aspetto dionisiaco e antirituale dell'arte.
Intolleranza 1960 e Prometeo. Tragedia dell'ascolto (1984) aprono un territorio di scatenamento delle immagini in tutto lo spazio architettonico e preludono all'altra fondamentale stagione dell'arte di Vedova, quella della serie di grandi dipinti dal materismo cromatico assoluto. Dopo di che passa alla costruzione dei Dischi, grandi dipinti in tondo che possono essere esposti come entità autonome su pavimento o a parete, quasi fossero attori capaci di danzare nello spazio o arrampicarsi sui muri, evidenziando la loro mobilità e intrusione architettonica.
L'itinerario biografico e professionale di Vedova, nato a Venezia nel 1919 dove è scomparso nel 2006, è stato ricostruito nella Sala del Piccolo Lucernario: una cronologia, composta da dati biografici, immagini e dichiarazioni poetiche, è accompagnata da una selezione di opere che copre il lungo arco della sua produzione artistica.
Promossa dal Comune di Milano e dalla Fondazione Vedova, si può visitare gratuitamente fino al 9 febbraio.

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