domenica 3 febbraio 2019

Andy Warhol, lo sciamano dei nostri tempi


Guardare Andy Warhol da un' altra prospettiva, quella capace di mettere in luce il suo essere non solo «sismografo dei suoi tempi», ma anche anticipatore dei nostri. È quello che si propone di fare la mostra che all'Orangerie della Villa Reale di Monza. Lo si capisce subito, a partire dal sottotilo: «L' alchimista degli anni Sessanta» voluto dal curatore Maurizio Vanni. E, sì. Andy Warhol è un moderno alchimista che trasforma - o più correttamente trasmuta - in oro tutto ciò che vede: i protagonisti della cronaca, gli oggetti di uso quotidiano, ma anche mucche, tartarughe, fiori, diventano un qualcosa che attrae, che tutti vorrebbero avere, che brilla come il metallo più prezioso. In questo, al pari di tante altre sue geniali intuizioni, fu precursore dei nostri tempi. Fu lui il primo a trasformare l' opera in un prodotto culturale, fu lui il primo a definirsi non artista, ma "businessman dell' arte" anticipando lo stato attuale del mercato del contemporaneo. Nel cogliere desideri, illusioni e angosce di allora Warhol ha di fatto introdotto visioni e strategie operative che sono tutt' oggi evidenti nella nostra società iper-moderna confermando la sua lungimiranza nella capacità di confrontarsi con la cultura di massa, l'era dell' informazione e dell'imperialismo tecnologico globale. Quando internet e i cellulari nemmeno esistevano, Andy Warhol disse: «In futuro, ciascuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti». Correva l' anno 1968, e il padre della pop art aveva appena urlato al mondo la sua profezia: il rincorrere una fama virtuale che dura il tempo di una sigaretta, è divenuta l' occupazione quotidiana di milioni di internauti che fanno dei social la vetrina autoreferenziale della propria vita, fatta di selfie, di vacanze, di aperitivi, tutto immancabilmente documentato da resoconti fotografici che danno l' idea che tutti siano felici e soddisfatti. Realtà o finzione?
Tutto è finzione per Warhol e non c' è niente di male a indossare di volta in volta una maschera che ci faccia sentire a proprio agio in una determinata situazione. «Ho sempre pensato che mi piacerebbe che la mia lapide fosse vuota. Nessun epitaffio e senza nome. Beh, in realtà, mi piacerebbe che dicesse, "Finzione"», scriveva 12 anni prima di morire. La mostra alla reggia di Monza racconta tutto questo. «Andy Warhol ha vissuto lucidamente il caos di una vita estrema e dissoluta», fa notare Maurizio Vanni, «ha pianificato la sua ascesa sfruttando le occasioni che solo l' America degli anni Sessanta poteva offrire. Fu uno sciamano dei tempi moderni».
Poi Vanni spiega: «Non chiedeva più che cosa fosse l' arte e a che cosa servisse, ma quale fosse la differenza tra due cose identiche, una delle quali era arte e l' altra no».
Ecco allora le fotoserigrafie e le serigrafie in mostra: quelle famose di Marilyn, Mao, Liza Minnelli, Jackie e John Kennedy e quelle di personaggi qualunque che transitavano nella sua Factory (come il bellissimo Billy Squier), ma pure fiori, nature morte, animali che venivano riprodotti tante volte quante desiderava, sempre uguali a se stessi, ma di fatto ogni volta diversi. «Non è la vita una serie di immagini che cambiano sempre eppure sempre si ripetono?», sosteneva. Ma l' esposizione in Brianza è da vedere anche per due sezioni, praticamente inedite. Quella curata da Marco Bettani su Warhol produttore musicale e ideatore di cover (sono esposte le copertine di 60 album da lui inventate: da quella celeberrima con la banana gialla per i Velvet Underground a quella altrettanto famosa per i Rolling Stones, ma anche quella per Loredana Bertè, Miguel Bosè e cantanti meno noti) e quella curata da Vladimir Luxuria sulla rivoluzione sessuale di cui Warhol fu testimone. 
Luxuria ha doppiato Candy Darling, trans molto amica di Andy, la “Candy” citata da Lou Reed in “Walk on the wild side”, protagonista del film “Women in revolt” girato nel 1971 nella New York del fermento della rivoluzione sessuale, dei diritti civili dei gay e degli afro-americani, della discoteca Studio 54, del rock dei Velvet Underground, del sogno americano di chi cercava a Manhattan o a San Francisco nuovi spazi espressivi di libertà. 
Il film nasce per esorcizzare un  trauma che l'inventore della pop-art aveva vissuto: il 3 giugno1968 Andy Warhol fu colpito da un colpo di pistola sparato da Valery Solanas, una rappresentante del movimento femminista che si chiamava S.C.U.M., una parola slang che definiva in modo dispregiativo lo sperma maschile, ma anche acronimo di “Society for Cutting Up Men”, ovvero “Società per fare a pezzi gli uomini”, distruggerli, evirarli. Lei infatti definiva gli uomini come «incidenti biologici, donne incomplete, aborti che camminano... grazie alle banche del seme presto non ci sarà più bisogno di loro».
Andy restò in coma per sei giorni e sopravvisse per miracolo. Solanas non digeriva alcune descrizioni che Warhol dava delle transgender che frequentavano la Factory, al quinto piano di un edificio che non esiste più nella Midtown e con le quali si faceva accompagnare e fotografare a eventi mondani, nelle boutique Fiorucci o alle sfilate di moda: «I travestiti sono la testimonianza vivente di come un tempo volevano essere le donne, di come qualcuno le vuole ancora, e di come alcune di loro vogliono essere ancora.
 I travestiti sono archivi ambulanti della femminilità ideale, impersonata dalle star del cinema. Offrono un servizio di documentazione, consacrando solitamente le loro vite allo sforzo di mantenere viva la smagliante alternativa, mettendola a disposizione di eventuali controlli».
La Solanas accusava Andy di essere poco propenso allo sviluppo delle donne nella società e di ridicolizzarle. Nel 1975 l'artista dedicherà numerose serigrafie alle drag-queen di New York, molte delle quali nere, dal titolo “Ladies and Gentlemen”. Non solo fusti di detersivo o lattine di zuppa, Warhol trasforma le trans in icone pop, simbolo di contemporaneità, coloro che, mentre le femministe più intransigenti gettavano alle ortiche trucchi, tinte per i capelli e reggiseni, si davano un gran da fare per andare a recuperarli pensando: «C'è chi ha il pane e non ha i denti, tutto questo bendidio buttato via così!».
In realtà la Solanas non lo aveva aggredito per le sue idee politiche ma per la sua ossessione contro di lui iniziata con un testo teatrale che Valery voleva fargli produrre. Il testo venne smarrito, lei si sentì depredata della sua opera e cominciò uno stalking asfissiante che culminà con i colpi di pistola. L'idea del film naque dal bisogno di sdrammatizzare ed esorcizzare il ricordo di quel tragico episodio.
Racconta Vladimir Luxuria: «Il film è la storia di tre donne interpretate da tre transgender: Candy Darling (da me doppiata), Jackie Curtis (la cui voce è della drag-queen La Karl Du Pignè) e Holly Woodlawn (Vinicio Diamanti) . Sono donne insoddisfatte e deluse dagli uomini. Candy, bionda ed eterea come la Monroe, proveniente dall'alta borghesia, è stufa del rapporto incestuoso con il fratello; Jackie è una maestra elementare lesbica e Holly è una prostituta spesso picchiata da maniaci che pagano le sue prestazioni. Da questa delusione verso il genere maschile nasce l'esigenza di fondare un Movimento di Liberazione Femminista per eliminare gli uomini. Fondano il P.I.G., parola che vuol dire “porco” ma anche acronimo di “Politically Involved Girls”.Esilarante è una scena in cui il trio si accanisce contro un gruppo do operai in un cantiere sodomizzandoli con il martello pneumatico che stavano usando per lavoro: “vendichiamoci contro questi, gli uomini veri, voi che ci volete sventrare con i vostri martelli...”  Il cinema di Warhol e Morrissey non era un cinema da set con copione e prove, studio e rigida sceneggiatura da seguire: gli operai non erano attori, la scena venne davvero girata per strada, come una candid camera, e questi lavoratori ignari vennero davvero assaliti da tre trans infoiate, un incidente sul lavoro che non saprei sinceramente come catalogare. Ma il Movimento PIG morirà presto: Jackie usa tutti soldi raccolti per le attività femministe per pagare un gigolò che aveva vinto il titolo di “Mister America” e dal quale avrà anche un bebè che lui trascura, Candy diventa un'attricetta di serie B costretta a concedersi sessualmente con chiunque pur di avere una particina e Holly diventa una derelitta alcolizzata che barcolla tra le strade di New York«.
Una grande commentatrice ed esperta di femminismo, Susan Sontag, commenta il film: «Qualcuno trova il film antifemminista nella parodia dei movimenti di liberazione... ma dopo tutto chi meglio di una transgender è capace di riflettere i fantasmi maschili nei confronti delle donne?«.
Unica pecca della mostra alla Reggia di Monza, che si può visitare fino al 28 aprile, l' allestimento: le opere, molte delle quali eccezionali come la serie dedicata ad Anderson e alle favole, non sono sufficientemente valorizzate.

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