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martedì 10 dicembre 2019

Roska Óskarsdóttir, arte e militanza per la verità sulla Strage di Stato


Roska Óskarsdóttir appartiene alla generazione di artisti radicali che hanno voluto distruggere i confini tra arte e vita, che hanno combattuto contro lo snobismo artistico della borghesia, la compiacenza politica delle masse e la macchina dei professionisti della politica. Roska è stata pittrice, fotografa, regista cinematografica ma soprattutto una sovversiva; il tema costante della sua vita è stato "ribellione continua nel vivere la poesia e la politica", come scrisse in un articolo del 1978 dedicato al surrealismo.  
Insieme all'attore Manrico Pavolettoni, che in seguito sarebbe divenuto suo marito, si impegnò per dimostrare l’innocenza degli anarchici sotto processo per la strage di Piazza Fontana e per le bombe di Roma. In particolare si misero alla ricerca di Udo Lemke, un giovane tedesco che la mattina del 13 dicembre 1969 si presentò in caserma dichiarando di aver visto gli attentatori in azione all'Altare della Patria e di averli riconosciuti. La storia di Lemke, che racconto nel mio libro "Le bombe di Roma", edito da Castelvecchi, ha dell’incredibile. Udo è un personaggio marginale ma se si analizza il suo comportamento ci imbattiamo in tante e tali stranezze che sembrano pianificate a tavolino: è un personaggio che spunta fuori dal nulla, riesce a spostarsi con grande facilità per trovarsi in situazioni che meriterebbero di essere chiarite; sparisce, riappare, parla e poi ritratta, passa per pazzo ma dice cose che alla fine la Cassazione ha dovuto in qualche modo ammettere. Il giorno dopo gli attentati aveva già indicato la pista nera, già aveva parlato dei rapporti tra la mafia e l'estrema destra, già aveva parlato di quel piano eversivo che verrà rivelato solo mesi dopo. Il giorno dopo le bombe aveva già scagionato gli anarchici.