lunedì 23 settembre 2019

Le stanze delle meraviglie non stupiscono più, ma insegnano a ragionare #Prada


Le Wunderkammer erano le stanze dove, a partire dal Rinascimento, sovrani e signori d’Europa - non contenti di circondarsi di opere d’arte tradizionali - mettevano insieme stupefacenti collezioni di pezzi rari, curiosi ed esotici, naturalia et artificialia. Non c’era, apparentemente, alcun criterio logico. Quell’assemblaggio improbabile di oggetti aveva una sola funzione: quella di stupire gli ospiti.
E oggi? Cosa cercherebbe un collezionista per il suo gabinetto delle meraviglie? E come lo allestirebbe? Le risposte vengono dalla mostra Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori appena aperta alla Fondazione Prada di Milano che propone ai visitatori 538 opere d’arte e oggetti provenienti dai musei viennesi Kunsthistorisches e Naturhistorisches.

A selezionarli sono stati Wes Anderson, il regista americano di Grand Budapest Hotel, e sua moglie, l’illustratrice Juman Malouf: c’è una scatola di legno egiziana che contiene la mummia di un toporagno del IV secolo a.C. (il sarcofago di Spitzmaus che dà il titolo alla mostra), c’è il busto di una matrona romana del I secolo avanti Cristo, ci sono dipinti del ’500 e ’600 di Cranach, Tiziano e Rubens.

Il sarcofago di Spitzmaus
E poi elmi e armature, sculture preziose e gioielli, meteoriti, camei, libri miniati, fossili, strumenti di precisione, tutti dislocati al piano terra del Podium dove è stato creato, attraverso elementi espositivi che evocano siepi e padiglioni, un ambiente ispirato alla tradizione del giardino all’italiana. «Pensavamo che sarebbe stato semplice. Ovviamente ci sbagliavamo», dice Wes Anderson spiegando che «la mostra è il culmine di alcuni anni di negoziazioni pazienti e frustranti, di momenti di amarezza, rabbia, discussione; confronti a volte totalmente irrazionali; ambiguità e stratagemmi spesso machiavellici». «La nostra umile ambizione», rivela il regista, «è di voler influenzare lo studio dell’arte e delle antichità in un modo sottile, superficiale eppure visibile, grazie alle scelte insolite relative alla collocazione e alla suddivisione degli oggetti».
Ecco allora degli smeraldi seicenteschi di fronte a un abito brillante proveniente da una rappresentazione di Hedda Gabler del 1978: «Volevamo richiamare l’attenzione sulle similitudini molecolari tra i cristalli esagonali e la seta Shantung», puntualizza Anderson. E ancora: il ritratto di un giovane falconiere è posto accanto a quello di un bambino con un cane per sottolineare l’evoluzione del gesso naturale. Una valigia per l’uniforme da guerra di un principe coreano è collocata vicino alla custodia della corona di Rodolfo II perchè entrambe hanno una forma peculiare con delle cerniere. «Uno dei curatori, tra i più esperti del Kunsthistorisches Museum», ammette il regista, « non è riuscito a cogliere subito quelle che noi ritenevamo connessioni lampanti; e anche dopo averle spiegate la loro validità è stata puntualmente rimessa in discussione».
Adesso tocca a ciascun visitatore cercare e inventare le proprie connessioni. Solo così sarà centrato l’obiettivo del progetto.
Si può visitare fino al 13 gennaio 2020.

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