Non sono io che vado alle manifestazioni, sono le manifestazioni che vengono da me: mi ci ritrovo sempre in mezzo, anche quando non sono io a decidere di andarci. Questo ho pensato questa sera quando, mentre stavo nell'area cani al parco con Margò, mi sono trovata nel bel mezzo di una protesta. Stavo lì già da un po' quando a un certo punto un centinaio di persone si sono messe a urlare e sventolare cartelli e bandiere nere bianche e rosse davanti all'ambasciata Egiziana a Milano che sta proprio lì, ai giardini Mendel, dove porto a giocare il cane.
Nessuna macchina della polizia, quindi presumo che non fosse una manifestazione organizzata. Con Dario che mi fa da guardaspalle (è più forte di lui) mi avvicino, se non altro per esprimere le mie condoglianze, per dargli la mia solidarietà: le notizie e le immagini che oggi sono arrivate dall'Egitto non possono lasciare indifferente nessuno.
Premetto che tra i generali che hanno preso il governo con un golpe con le guardie che sparano sulla folla e un presidente che aveva come primo obiettivo quello di ricostruire l'Egitto e ridare agli egiziani uno Stato che facesse riferimento diretto alla Sharīʿa, ossia la legge coranica, e che pochi giorni dopo la sua elezione si è attribuito con decreto amplissimi poteri anche nel campo del potere giudiziario per rendere non impugnabili i suoi decreti presidenziali, io non posso schierarmi né da una parte, né dall'altra. Quello che sento è soltanto un'immensa rabbia per tutti quei morti, quelle famiglie spezzate, quel sangue versato per uno Stato e un Dio che si nutre di potere e affama il popolo. Volevo dirglielo. Volevo far sentire a quella gente che io ero con loro.
Non capivo quello che gridavano, ma erano molto molto arrabbiati. Comprensibile. Agitavano il Corano. Ho cercato uno sguardo per poter attaccare discorso, ma niente. Ho girato per più di mezz'ora tra loro, ma niente. Mi hanno evitata, anzi era come se non ci fossi. A dire il vero qualcuno mi ha guardato, ma con sospetto se non con fastidio. Poi mi sono resa conto che non c'erano donne tra loro.
Solo un ragazzo in bicicletta, anche lui capitato lì per caso che si era fermato per vedere cosa stava succedendo, mi ha rivolto la parola. Era un algerino e, capendo la loro lingua, mi ha tradotto quello che stavano urlando. "Ce l'hanno con i militari, li chiamavano assassini dei loro figli, inneggiavano al presidente destituito Morsi", mi dice il ragazzo. "Sono Fratelli Musulmani", mi ha spiegato "e ce l'hanno con Adli Mansur che ha preso il potere dopo il colpo di Stato dei militari perché ha iniziato a dialogare con Israele". "Ha fatto bene Hitler...".
A quel punto l'ho ringraziato, l'ho salutato e me ne sono tornata a casa.
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