"Sono stato messo in mutande in ginocchio e mi davano calci, ho resistito, non so come, cinque giorni". E' un racconto freddo che fa venire i brividi quello che l'ex brigadista Giovanni Senzani fa della tortura subita mentre era in mano alle forze dell'ordine. Non ne aveva mai parlato prima. "Decidemmo di non parlarne ai tempi, la situazione non era quella del Brasile - spiega Senzani - ma non eravamo preparati, non ci eravamo dati una regola per decidere quando crollare. Molti giovani militanti hanno preso pene molto più alte di quelle che meritavano".
La rivelazione sta nel film "Sangue", di Pippo Delbono che racconta la storia di una comune sofferenza per la morte della madre del regista, ripresa fino agli ultimi giorni, e di quella della moglie di Senzani. La pellicola, l'unica italiana in Concorso internazionale al Festival del cinema di Locarno ha sollevato numerose polemiche per l'aspetto politico del film che si sovrappone a quello intimistico dei rispettivi drammi personali: le riprese così crude di un'agonia e il racconto dell'omicidio di Roberto Peci, fratello di Patrizio primo Br pentito, perchè "traditore", da parte dello stesso Senzani. "Una decisione politica", la liquida l'ex brigadista. Si sa che non si è mai pentito e davanti alla camera di Delbono dice che non crede nella redenzione. Non fa la minima autocritica, si sofferma piuttosto sul posto squallido e diroccato, della provincia romana, dove fu ammazzato, dopo 55 giorni di 'processi' e interrogatori, Roberto Peci, fra l'altro ripreso nel momento della morte.
La trama del film, che inizia e finisce nelle case dell'Aquila diroccate dal terremoto, è quella dell'amicizia fra Delbono ("sono un buddista distantissimo dal delirio della violenza di quegli anni, anzi di quella gente avevo quasi paura", precisa) e Senzani con un dramma in comune: la malattia di Margherita, la mamma di Pippo, e quella di Anna, la compagna dell'ex terrorista che lo ha aspettato per i 23 anni di prigione. Delbono filma la fede, la voglia di vita, l'amore per il mondo, ma anche la morte di chi gli ha dato la vita. Arriva perfino ad andare in Albania a prendere un pseudo-medicinale antitumorale tratto dal veleno degli scorpioni e importato da Cuba. Ma nulla può fermare il destino e lui, con cellulare e una piccola camera, riprende perfino la sigillatura della bara. Senzani invece ("senza che nessuno glielo abbia chiesto", puntualizza il regista) parla dell'omicidio di Roberto Peci. Nel film c'è anche il funerale di Prospero Gallinari, nel quale, spiega Senzani, "ho visto quello di Aldo Moro, della guerriglia, della lotta armata. Ho visto tutte le ex fazioni delle Brigate Rosse e nessuno della vecchia generazione ha alzato il pugno, non per codardia, ma perchè è una storia finita". Alla presentazione del film a Locarno l'ex Br dice pure: "Quando si vedono i politici attuali si rivalutano gli Andreotti, io non voglio rivalutare i democristiani sia chiaro, e i Berlinguer, volete mettere quelle persone con quelle di oggi? Ma il sistema non lo abbiamo messo in crisi noi, la nostra è una piccola storia se si pensa alla caduta dell'Unione Sovietica. Non abbiamo lasciato traccia", prosegue Senzani spiegando che la sua partecipazione alla pellicola ha chiuso dei discorsi e delle prospettive e ne ha aperti altri. "Siamo andati avanti, quella storia è finita - ribadisce -. Non avevamo capito neanche tutto, se si pensa che io ho abbandonato tutto per la lotta armata. Per che cosa? E poi oggi non ci sono più certezze. I problemi sono ben più grandi". (nop)
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