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Il cassetto di Alda Merini |
«Entrate, ma non cercate un percorso. L’unica via è lo smarrimento», è la scritta che accoglie i visitatori del
Museo della Follia inaugurato ieri a Salò. La attribuiscono al curatore Vittorio Sgarbi, ma lui stesso smentisce. «L’ho fatta mia, ma l’ha inventata la mia collaboratrice Sara Pallavicini», ha ammesso mentre presenta il Museo. Che non è un museo, ma una mostra itinerante che affronta il complesso tema della follia e che volutamente nasconde più di quanto esponga. «È tutto un inganno», ha fatto notare Sgarbi. Già l’inganno. Lo stesso che ha tenuto rinchiuse dentro i manicomi persone non classificabili, non omologabili, che rifiutavano di sottostare alle regole imposte dalla società. A loro è dedicata l’esposizione. Ecco allora le streghe esemplificate da un dipinto di
Tranquillo da Cremona (1837–1878), donne perseguitate solo perché non volevano sposarsi o fare figli; gli omosessuali rappresentati da due opere e alcuni disegni che
Francis Bacon regalò all’uomo dei suoi desideri; i perseguitati politici che, ha spiegato Giordano Bruno Guerri, direttore del MuSa, «venivano ricoverati all’interno dei manicomi perché era la maniera più semplice per renderli inoffensivi, per neutralizzarli, evitando processi che avrebbero messo in luce la loro innocenza»; i poeti sognatori e visionari come
Alda Merini presente in apertura di mostra con il suo cassetto pieno di sigarette, una collana di perle, biancheria intima, un rossetto, un taccuino, una penna.
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L'olio di Adolf Hitler |