Correva l'anno 1906. A Milano era in corso l'Esposizione Universale e in città arrivarono i primi mercanti cinesi. Provenivano dal distretto di Qing Tian nella regione Zhejiang e vendevano statuette di simil giada e collane che sembravano di perle ma che perle non erano. I milanesi le chiamavano "perle matte". Presero delle stanze in una locanda di via Canonica al civico 35, vicino alla fiera. Quel ristretto gruppo di intrepidi commercianti (si contavano sulle dita di una mano) fece da apripista al flusso migratorio del 1926 costituendo il nucleo della grande comunità cinese in città.
A loro, definiti dagli occhidentali con la parola non sempre positiva "Chinamen", alla loro storia all'ombra della Madonnina, al processo di integrazione e di riscatto sociale è dedicata la mostra che appena inaugurata al Mudec di Milano "Chinamen. Un secolo di cinesi a Milano".
«Arrivarono in città con un preciso progetto professionale: vendere. Sono sempre stati in grado di veicolare idee e capitali. Erano tutti uomini e le ragazze che venivano dalle campagne lombarde se li contendevano», racconta Ciaj Rocchi. La studiosa ha raccolto gran parte del materiale esposto in via Tortona insieme al marito Matteo Demonte, cinese di terza generazione proveniente dall'antica famiglia Wu Li Shan, artista e autore del documentario a disegni animati da cui è stata tratta la graphic novel che fa da catalogo all'esposizione.
Ciaj Rocchi racconta della prima licenza commerciale rilasciata dal Comune di Milano a un cinese datata 1927 («In città c'erano circa 300 mercanti ma solo dieci vennero autorizzati a vendere limitando il loro commercio ad alcune vie. Cosa che ovviamente non venne rispettata»); del primo bambino cinese registrato all'anagrafe cittadina («Era il 1933 e quel neonato era Mario Tschang, fondatore della ditta di pennarelli Osama»); del primo ristorante aperto in via Fabio Filzi 2 di cui in mostra è esposta la porta originale; delle tombe al Monumentale («la più antica è del 1935 e appartiene a un cinese morto di tisi»).
Oggetti come le borse in simil pelle vendute alla Standa o le perle "matte" che venivano vendute a 5 lire dando la possibilità a tutte le donne di indossare articoli fino ad allora nella disponibilità delle più ricche, foto, ritratti di famiglia dello
Studio Tollini (che dal 1934, anno del primo matrimonio tra un'italina e un cinese, testimonierà la vita del quartiere) articoli di giornale sono proposti ai visitatori con l'obiettivo di gettare una luce su aspetti poco esplorati della presenza cinese a Milano - come ad esempio la persecuzione e la deportazione dei cinesi e delle loro famiglie (le mogli erano italiane) nei campi di concentramento durante il ventennio fascista - da qui irradiatasi in tutta Italia.
La mostra si può visitare gratuitamente fino al 17 aprile.
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