mercoledì 8 gennaio 2020

Zehra Doğan, avremo anche giorni migliori

Zehra Doğan, è un'artista curda, giornalista e femminsita, rinchiusa nelle carceri turche con l’accusa di propaganda terrorista per aver mostrato la violenza dell’esercito di Erdogan con una sua opera. Si trattava di un acquarello postato su Twitter tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.


martedì 7 gennaio 2020

John Baldessari il "gigante gentile" dell'arte concettuale

Capita che alcuni artisti, a un certo punto della vita, si guardino indietro e si accorgano che tutto quello fatto fino ad allora non li rappresenta più. Decidono così di cambiare direzione rinnegando la propria formazione e produzione. Successe anche all'americano John Baldessari: inorridito davanti ai suoi dipinti giovanili decise di disfarsene in maniera eclatante.
Era il 1970 e lo fece in maniera artistica con una performance «The Cremation Project» destinata a scrivere un nuovo capitolo della storia dell' arte. Andò all' obitorio "Cypress View Mortuary" e fece cremare tutti i quadri in suo possesso. La cenere dei dipinti bruciati venne poi utilizzata come ingrediente per impastare alcune gallette, cotte e riposte in un barattolo, come in una sorta di urna cineraria. Per Baldessari la nuova opera d'arte consisteva nei Corpus Wafers, gli indigesti biscotti di quadro. Poi realizzò una targa metallica con inciso il suo nome e le date del debutto da pittore e dell' abbandono dell' arte tradizionale: «John Anthony Baldessari May 1953 March 1966». Così facendo, da una parte, da buon erede di Marcel Duchamp, Baldessari fece trionfare l'idea sulla forma, dall'altra impiegando i metodi distruttivi di Gustav Metzger e Jean Tinguely (nel suo caso un forno crematorio) mise in relazione la performance all'idea della morte e alla rinascita. «The Cremation Project» fu esposto al MoMA di New York nella mostra "Information".

martedì 10 dicembre 2019

Roska Óskarsdóttir, arte e militanza per la verità sulla Strage di Stato


Roska Óskarsdóttir appartiene alla generazione di artisti radicali che hanno voluto distruggere i confini tra arte e vita, che hanno combattuto contro lo snobismo artistico della borghesia, la compiacenza politica delle masse e la macchina dei professionisti della politica. Roska è stata pittrice, fotografa, regista cinematografica ma soprattutto una sovversiva; il tema costante della sua vita è stato "ribellione continua nel vivere la poesia e la politica", come scrisse in un articolo del 1978 dedicato al surrealismo.  
Insieme all'attore Manrico Pavolettoni, che in seguito sarebbe divenuto suo marito, si impegnò per dimostrare l’innocenza degli anarchici sotto processo per la strage di Piazza Fontana e per le bombe di Roma. In particolare si misero alla ricerca di Udo Lemke, un giovane tedesco che la mattina del 13 dicembre 1969 si presentò in caserma dichiarando di aver visto gli attentatori in azione all'Altare della Patria e di averli riconosciuti. La storia di Lemke, che racconto nel mio libro "Le bombe di Roma", edito da Castelvecchi, ha dell’incredibile. Udo è un personaggio marginale ma se si analizza il suo comportamento ci imbattiamo in tante e tali stranezze che sembrano pianificate a tavolino: è un personaggio che spunta fuori dal nulla, riesce a spostarsi con grande facilità per trovarsi in situazioni che meriterebbero di essere chiarite; sparisce, riappare, parla e poi ritratta, passa per pazzo ma dice cose che alla fine la Cassazione ha dovuto in qualche modo ammettere. Il giorno dopo gli attentati aveva già indicato la pista nera, già aveva parlato dei rapporti tra la mafia e l'estrema destra, già aveva parlato di quel piano eversivo che verrà rivelato solo mesi dopo. Il giorno dopo le bombe aveva già scagionato gli anarchici.

sabato 7 dicembre 2019

Emilio Vedova, la rabbia e la passione del pittore partigiano

Passione e rabbia fuse insieme dal colore. Pennellate grasse e nervose che allagano quadri immensi. Gesti titanici e ciechi che travolgono tutto. Foga, impeto e furore che smontano e rimontano strutture. È l'arte di Emilio Vedova, l'artista che nel Novecento più di tutti incarna l'uomo in rivolta. «La sua pittura è un' appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e del no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi», sostiene Werner Haftmann. «La tela, come una membrana nel mezzo della disputa registra il corso della contesa».
La sua biografia parla da sola. Negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, Vedova fece parte, a Milano, del gruppo di "Corrente", nella cui galleria presentò una delle sue prime "personali". Dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza romana. Militò poi, col nome di battaglia di "Barabba" (scelto per la folta barba che ne avrebbe incorniciato il volto per tutta la vita), in una formazione partigiana molto attiva sull'altipiano bellunese. Nel corso di un rastrellamento "Barabba" fu ferito, ma riuscì, fortunosamente ad evitare di essere catturato dai nazifascisti.

venerdì 22 novembre 2019

Divisionismo, quando la pittura diventò strumento di militanza politica

Emilio Longoni, L'oratore dello sciopero
Quando nel maggio del 1891 venne aperta a Brera la prima edizione della Triennale di Belle Arti probabilmente i visitatori non se ne resero conto, ma quell'esposizione segnò un punto di non ritorno: l'inizio dell' arte moderna italiana. Per la prima volta vennero esposti quadri di soggetto "sociale", dove i protagonisti erano operai, contadini, gente comune che si poteva incontrare nelle campagne o nelle strade di città, ma soprattutto era rivoluzionario il modo che avevano i pittori di dipingere. Su suggerimento del mercante d'arte e critico milanese Vittore Grubicy de Dragon gli artisti della sua scuderia sostituirono la miscela chimica dei colori tradizionalmente ottenuta sulla tavolozza con un accostamento diretto dei toni complementari sulla tela posti a "striscioline" o attraverso macchie cromatiche pure messe l' una all' altra: il colore veniva "diviso" e diventava fenomeno ottico. Alla dovuta distanza l'occhio dello spettatore poteva ricomporre le pennellate staccate in una sintesi tonale percependo una maggiore luminosità nel dipinto.