«Prendimi. Sono tuo». Non succede mai che visitando una
mostra lo spettatore venga invitato a portarsi via gratuitamente un'opera
d'arte. Né tanto meno a manometterla o crearne di nuove. E invece al Pirelli
Hangar Bicocca dove inaugura oggi la mostra collettiva “Take Me (I'm Yours)” sì
può fare. Anzi si deve, perché al visitatore viene chiesto di fare tutto quello
che di norma è vietato in un museo: toccare, modificare, comprare,
lasciare, scambiare e in molti casi portare via i lavori esposti, scardinando
il “mito” dell'unicità dell'opera e mettendo in discussione i suoi modi di
produzione. Da Yoko Ono a Francesco Vezzoli, da Maurizio Cattelan a Gianfranco
Baruchello, da Ugo La Pietra a Luigi Ontani e Giorgio Andreotta Calò (tanto per
citarne alcuni): 56 artisti hanno accettato di far parte del progetto ideato
agli inizi degli anni Novanta da Hans Ulrich Olbrist e Christian Boltanski che
ha come obiettivo quello di rompere i tabù legati all'arte e ripensare i modi in
cui viene esposta e fruita. «Questa mostra va al di là dei confini dello spazio
espositivo», ha spiegato Obrist. «continua nelle case dei collezionisti, si
modifica ogni volta che un visitatore prende o lascia qualcosa. Questa mostra è
la realizzazione pratica di quanto auspicato da William Morris quando parlava
di “arte per tutti”».
Appena entrati, subito dopo aver ricevuto la borsa
“Dispersion” di Boltanski nella quale raccogliere le opere da portarsi a casa,
si diventa parte dell'esposizione grazie alla performance di Pierre Huyghe che
annuncia ad alta voce il nome del visitatore: «Nicoletta Orlandi Posti», urla
richiamando l'attenzione di quanti sono già nella sala.
Da quel momento in poi
tutto è concesso. Puoi fotocopiare una parte del corpo nella macchina di Mario
Garcia Torres, puoi farti fare il ritratto da Paolo Orlandi (l'alter ego di
Vezzoli) che provvederà ad aggiungere al volto una lacrima rossa, puoi
scattarti un selfie che viene postato in tempo reale su Instagram contribuendo
a creare l'opera social di Franco Vaccari “Mito istantaneo n.2. Sì ci sono
anch'io”.
E ancora: si possono mangiare le caramelle che compongono il tappeto
di menta firmato da Felix Gonzales-Torres, i biscotti della fortuna di Ian
Cheng e Rachel Rose, i cioccolatini di Carsten Holler, i falli con le ali in
pasta di zucchero di Daniel Spoerri (che ha fatto anche uno scheletro) e
perfino partecipare alla riffa per una cena intima con l'artista Douglas
Gordon: basta scrivere un invito, inserirlo in un urna di plexiglass e
confidare nella fortuna.
Quanto alle opere da collezionare c'è davvero
l'imbarazzo della scelta: spillette con gli autoritratti degli artisti, fotografie,
poesie, stencil, tatuaggi, manifesti, libri, giornali, i vestiti accumulati da
Boltanski.
E per chi ha una vena artistica c'è addirittura il pittore Patrizio
Di Massimo che si trasforma in modello, praticamente nudo, a disposizione di quanti vorranno ritrarlo.
Ovviamente ci sono alcune opere che si possono anche comprare, come quelle di
Baruchello: per la modica cifra di 50 centesimi ti porti a casa una scatola
chiusa e numerata contenente una moneta da un euro.
Geniale il contributo
dell'architetto Ugo La Pietra: ogni visitatore/autore può creare su un lucido
una mappa della città di Milano, può firmarlo contribuendo alla creazione di un
database di migliaia di mappe personali della città. Prima di uscire non
dimenticate di appendere il vostro desiderio su uno dei due alberi di limoni di
Yoko Ono o farvi dare la parola scelta per voi da Tino Sehgal.
La mostra, che potrà essere visitata fino al 14 gennaio, è
gratuita ma per prendere e collezionare le opere è necessario acquistare la
borsa creata da Boltanski che costa 10 euro.
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