Discendente di una nobile ed antichissima famiglia francese, la vita di Henri de Toulouse-Lautrec (1864 -1901) fu segnata nell'adolescenza da due cadute che gli procurarono fratture ad entrambe le ginocchia. Non guarì mai del tutto: le sue gambe smisero di crescere e da adulto, pur non essendo affetto da vero nanismo, rimase alto solo 1,52 metri. «Il nano de la butte», «il genio deforme di Montmartre» lo chiamavano a Parigi e lui non potendo nascondere la sua evidente deformità fisica sfidava i tabù dell'epoca combattendo le ipocrisie e il perbenismo con ironia. Soprattutto verso se stesso. Ecco allora che chiedeva ai suoi amici François Gauzi, Maurice Guibert o Paul Sescau di fotografarlo allestendo lui stesso messe in scene in cui si esibiva con un narcisismo scaturito dalla sua inesauribile immaginazione e dal suo sarcastico senso dell'umorismo. Si travestiva, inventava scenette nelle quali interpretava ruoli e coinvolgeva i suoi soldali in questi giochi e mascheramenti per affermare deliberatamente un certo esibizionismo e mostrare la sua stravaganza.
«Anticipando una pratica che verrà sviluppata dagli artisti del XX secolo, Lautrec trattava il proprio corpo come soggetto della creazione. Questo procedimento, nella sua originalità, coerenza e continuità, fu un modo di prendere le distanze dalla propria immagine», spiega la curatrice Danièle Devynck nel catalogo Giunti-Electa dell'esposizione appena inaugurata a Palazzo Reale a Milano intitolata "Il mondo fuggevole di Toulouse-Lautrec".
E in mostra c'è un'intera galleria di foto dissacranti e irriverenti, che fanno da contraltare a quelle austere della vita di famiglia. Come i quattro scatti datati 1989 di Maurice Joyant che ritraggono l'artista mentre fa la cacca sulla spiaggia di Crotoy in Piccardia, o quello in cui fa il morto a galla o si esibisce nudo sulla barca insieme a Viaud. E ancora: il fotomontaggio realizzato da Guibert nel 1890 nel quale il pittore è al cospetto di se stesso come modello. Sulla tela è schizzata in modo sommario una caricatura del suo profilo, leggermente sfasato rispetto alvolto. Lautrec soggetto della rappresentazione si trova di fronte a Lautrec pittore.
Le fotografie provengono tutte dal fondo del Musée Toulouse-Lautrec di Albi e tra le numerose immagini, ce ne è una scattata verso il 1882 nella quale Lautrec imberbe è seduto davanti a Princeteau e a Henri Rachou, un tableau vivant di giapponeseria burlesca. Altre due, scattate verso il 1892, lo mostrano una seduto a gambe incrociate, in kimono, con una bambola giapponese e un ventaglio, l'altra con una sciabola posata al suo fianco, due dita della mano destra alzate alla maniera di un Buddha, con gli occhi un po' strabici come alcuni degli attori di Kabuki rappresentati da Kunisada o Yoshitoshi e Sharaku. Certamente questa messa in scena rispecchia il gusto per il travestimento e per il gioco dei tableaux vivants che divertiva la buona società dell'epoca, ma racconta anche chiaramente il suo interesse per il Giappone. Ed è proprio questo l'altro importante aspetto indagato dalla mostra a Palazzo Reale nell'evoluzione stilistica del pittore. Oltre ai 35 dipinti di Toulouse-Lautrec, alle sue litografie, acqueforti e affiches ci sono anche alcune rare e preziose stampe di maestri giapponesi tra le quali la serie completa della Maison Verte di Utamaro a dimostrazione che Lautrec è molto di più dell'artista maledetto che certa letteratura artistica racconta, è molto di più del nobile a che elesse Montmartre a sua casa e i bordelli a suo studio e che morì prematuramente a causa della sua dissoluta vita. Toulouse-Lautrec è l'artista moderno per eccellenza, l'artista che usa la macchina fotografica per evitare ore e ore di posa in studio alle modelle, che azzarda inquadrature inedite e scabrose, che cattura stati d'animo e gesti involontari e ci gioca creando opere d'arte.
La mostra, curata da Danièle Devynck e Claudia Beltramo Ceppi Zevi, si può visitare fino al 18 febbraio 2018.
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