Mona e Mae |
Percentuali frustranti che si giustificano - in parte - con la mancanza di conoscenza. Cosa alla quale hanno cercato di rimediare Mona Chalabi e Mae Ryan ideando e realizzando Vagina dispatches - Lettere dalla vagina, un documentario del Guardian in quattro puntate, che altro non è che un viaggio di esplorazione per rompere i tabù sul sesso femminile, parlando di anatomia, mestruazioni, orgasmo ed educazione sessuale. La serie ha riscosso un incredibile successo, tanto da essere nominata perfino ai premi Emmy 2017.
Mae (regista e fotografa statunitense che lavora per il New York Times), e Mona (giornalista inglese, impegnata nel promuovere l’importanza del data journalism, o giornalismo di precisione, al fine di impedire ai politici di fare false dichiarazioni) sono ospiti a Ferrara alla decima edizione del Festival di Internazionale.
Ecco l'intervista che ho fatto loro.
Il successo della serie, l’altissimo numero di visualizzazioni e condivisioni, dimostra - oltra alla vostra bravura e intelligenza - che tante, troppe donne sono ancora escluse da una vera e propria emancipazione culturale e sessuale. Cosa possiamo fare, nel quotidiano, tutte noi?
Partire dalla conoscenza del proprio corpo. Abbiamo capito facendo il video che sapere come funziona il corpo educa anche la mente. Poi provare a combattere dentro il sistema per rompere il tetto di cristallo ma anche trovare alternative creative che ci consentano di fare quello che vogliamo. Capiamo cosa vuol dire essere lavoratrici donne in un ambiente maschile. All’inizio della mia carriera mi occupavo di rubriche considerate “da donna”, ma ho scoperto che nessuno della redazione sapeva veramente cosa facessi, si sono resi conto che coprivo quella colonna quando mi sono licenziata. Dire “no” e licenziarsi può servire seguire una alternativa può essere la soluzione quando non si riesce a modificare il sistema.
Ve ne siete andate in giro per New York con una vulva gigante facendo domande alle persone sulle loro conoscenze sulla sessualità femminile, organi sessuali femminili. Il risultato, ahinoi, è una grandissima ignoranza che pare tanto funzionale a questo tipo di società...
Funzionale al sistema patriarcale- capitalista. Le donne, così come le minoranze, se non sanno quello di cui hanno bisogno non sono neanche nella condizione di poterlo chiedere. Riguardo il nostro corpo non lo conosciamo perché la ricerca scientifica storicamente è stata fatta da uomini. Si è guardato alla donna esclusivamente per l’aspetto riproduttivo, come se questo riguardasse solo la donna e l’uomo non avesse ruolo al 50% nella procreazione.
Il vostro obiettivo è soprattutto quello di rompere dei tabù. Qual è quello che più di tutti condiziona la sessualità delle donne?
Non parliamo di mestruazioni perchè questo è un sistema patriarcale. Pensare che per le donne il desiderio sessuale sia secondario, che, al contrario dell’uomo, non siano naturalmente interessate all’aspetto ludico del sesso, che non piaccia loro farlo, è difficile da sradicare e ci nuoce. Nuoce sia nelle relazioni che nel lavoro. E poi che ci vedano solo come macchine sforna figli, che è come mettere una data di scadenza al nostro corpo. Finchè siamo riproduttive il nostro corpo è tenuto in considerazione, poi diventa “accessorio”, mentre lo sperma dell’uomo non ha una scadenza.
Pur puntualizzando nel primo episodio che il termine corretto è “vulva” perchè il titolo del documentario è «Lettera dalla vagina»? Perchè questo utilizzo, che in linguistica si chiamerebbero sineddoche?
Abbiamo pensato a lungo al titolo, ma abbiamo di proposito scelto vagina. Volevamo usarlo tanto e in modo che non causasse imbarazzo o risatine dirlo. All’inizio era strano anche per noi pronunciarlo ma dopo che lo dici 50 volta in una giornata nessuno ci fa più caso. E’ stato interessante.
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