Il 27, oggi come allora, era giorno di paga e il blindato della Banca Popolare di Milano era carico di soldi più che mai. Alle 9,35 del mattino di quel freddo febbraio del 1958, in via Osoppo a Milano una banda di sette uomini con quattro veicoli rubati, grazie al falso incidente e uno speronamento per bloccare il portavalori, riuscì ad impossessarsi senza sparare nemmeno un colpo di 614 milioni di lire in contanti (pari a duemila anni di stipendio di un operaio dell'epoca). Una rapina perfetta, studiata a tavolino sul modello della "banda dei marsigliesi", che mise in ginocchio la polizia completamente impreparata a un evento di quella portata. «Ci sentivamo padroni di Milano, avevamo addosso una grande spavalderia. In fondo è stato meglio che ci abbiano preso altrimenti chissà dove saremmo arrivati», ha ricordato anni dopo uno dei rapinatori, Luciano De Maria. La storia del "colpo del secolo", il suo epilogo con la cattura di tutta la banda (oltre a De Maria, furono arrestati Ugo Ciappina, Arnaldo Gesmundo detto "Jess il bandito", Ferdinando Russo detto "Nando il terrone", Arnaldo Bolognini, Enrico Cesaroni ed Eros Castiglioni) per via di una disattenzione (la polizia rintracciò il negoziante che aveva venduto le tute indossate dai bandidi e il meccanico che aveva messo a punto le auto: un mese dopo tutti finirono in manette) sono alcuni dei protagonisti della mostra che il prossimo 9 novembre inaugura a Palazzo Morando.
Milano e la mala - questo il titolo della esposizione - si pone infatti come obiettivo di raccontare la storia della città attraverso il suo lato più oscuro che viene ricordato dai milanesi con nostalgia e un pizzico di romanticismo. Dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca: quarant'anni che tracciano l'altra faccia di una metropoli in rapida ascesa economica, in cui i fatti reali sembrano usciti dalla penna di un grande scrittore di gialli. Attraverso 140 fotografie, video, documenti e "strumenti del mestiere" - come la celebre custodia del mitra di Luciano Lutring, i dadi usati nelle bische e, ancora, le armi utilizzate dalla polizia - la mostra ripercorre la nascita e l'affermazione come fenomeno della criminalità a Milano, tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Ottanta, a partire dalla "Ligera", una forma di delinquenza tutta milanese (secondo Luigi Balocchi i componenti delle bande agivano non armati, ossia “leggeri”) che ebbe origine già nel XIX secolo, composta da piccoli gruppi di criminali e ricordata anche nelle canzoni popolari che evidenziano un orgoglio di mestiere, di sfida, di protesta. Canzoni come Porta Romana bella e Ma mi... scritta da Giorgio Strehler, musicata da Fiorenzo Carpi e portata al successo da Ornella Vanoni che la incise su 45 giri nel dicembre 1959 che racconta di un partigiano arrestato e internato al carcere di San Vittore che non tradisce i suoi compagni.
L'assalto al portavalori di via Osoppo segnò la fine di questo tipo di malavita lasciando il campo, nel ventennio 1960- 1980, a una nuova forma di criminalità strutturata - pure di stampo mafioso - dedita al controllo del gioco d'azzardo, della prostituzione e del traffico degli stupefacenti. A fare da sfondo c'è una città che in pieno boom economico cambia pelle e abitudini: la Milano della Mala è una città che vive di notte nelle bische, nei night club, nei circoli privati e la mostra a Palazzo Morando la rievoca riportando in primo piano quartieri come il Giambellino, l'Isola, la casba di via Conca del Naviglio e il Ticinese. Protagonisti assoluti Pietro Cavallero (braccato e catturato il 3 ottobre del '67, dopo la terribile sparatoria di largo Zandonai accolse la condanna all'ergastolo con il pugno chiuso cantando Figli dell'officina), Francis Turatello «Faccia d'Angelo» e Angelo Epaminonda che poteva permettersi abiti di sartoria e fuoriserie, una donna diversa tutte le sere, con la quale consumare litri di champagne e nottate nei night di cui riscuoteva gli incassi: erano diventati un pallido ricordo, da serbare per le future autobiografie, i crampi della fame che lo aveva tormentato da bambino, quando il padre, uno scalpellino con il vizio del gioco, aveva abbandonato Catania per trasferirsi con la famiglia in Brianza e sfuggire ai creditori. E poi Renato Vallanzasca con il quale si chiude idealmente l'esposizione. Lui, il bel Renè, il bandito della Comasina, è ultimo rappresentante di una malavita milanese che dai primi anni Ottanta lascerà il passo a nuove e più cruente forme di criminalità.
La mostra "Milano e la mala" - all'interno della quale ci sono focus e degli approfondimenti sui sequestri reali e quelli solamente minacciati, sui luoghi di detenzione e sulle rivolte carcerarie, sui gruppi di feroci killer come i famigerati Apaches di Epaminonda che terrorizzarono la città nei primissimi anni Ottanta - potrà essere visitata fino all'11 febbraio 2018.
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