giovedì 25 ottobre 2018

La "città irreale" di Mario Merz diventa realtà dopo 50 anni #Igloos


La “città irreale” di Mario Merz è diventata realtà. Ci si può camminare e ci si può perdere: tanto c’è da vedere, tanti sono i messaggi da cogliere. Una passeggiata in solitaria sarebbe il massimo, ha suggerito la figlia Beatrice presidente della Fondazione Merz. E in effetti camminando senza fretta attorno ai trenta igloo sistemati nelle Navate e nel Cubo del Pirelli HangarBicocca i pensieri sono davvero molti: quelle strutture architettoniche sferiche delimitano uno spazio, un territorio ma nello stesso tempo offrono allo sguardo del visitatore l’interno; la forma è la stessa per tutti, ma ognuna di quelle “capanne” è unica come l’essere umano; ci si può girare attorno percependo il moto circolare del tempo; è un “ventre”, diceva Merz, dal quale possono nascere delle cose. 




La mostra, curata da Vincente Todolì in collaborazione con la Fondazione Merz, riunisce il corpus delle opere più iconiche del maestro, uno tra gli artisti più rilevanti del secondo dopoguerra. Figura chiave dell’Arte Povera, Mario Merz (1925-2003) è stato uno dei primi in Italia a utilizzare l’installazione, superando la bidimensio-nalità del quadro, inserendo tubi al neon nelle sue tele e in oggetti quotidiani come ombrelli e bicchieri. Attraverso il suo lavoro indagava e rappresentava i processi di trasformazione della natura e della vita umana, utilizzando elementi provenienti dall’ambito scientifico-matematico, come la spirale e la sequenza numerica di Fibonacci, e introducendo a partire dal 1968 quello che rimarrà uno dei motivi ricorrenti e più rappresentativi della sua pratica per oltre trent’anni: l’igloo.

E proprio a cinquant’anni dalla creazione del primo, la mostra «Igloos» offre l’occasione di osservare lavori di Mario Merz di importanza storica e dalla portata innovativa provenienti da numerose collezioni private e museali internazionali - tra cui il Reina Sofía di Madrid, la Tate di Londra, la Nationalgalerie di Berlino, parte del gruppo Staatliche Museen zu Berlin, e Van Abbemuseum di Eindhoven -, raccolte ed esposte insieme per la prima volta in Italia.

Si parte dall’Igloo di Giap concepito nel 1968 per la collettiva alla galleria Alibert di Roma. Merz ricopre la struttura in acciaio con pani di argilla e pone sulla sommità una scritta in neon bianco con la sua grafia che recita: «Se il nemico si concentra perde terreno se si disperde perde forza Giap», frase pronunciata dal genenerale vietcong Vo Nguyen Giap, capo militare dell’esercito popolare del Vietnam del Nord. «La frase», spiegherà più tardi Merz, «aveva una specie di intuizione buddistica della guerra e delle vita delle armi». Il percorso espositivo segue un ordine cronologico ma ha due punti cardine ne La goccia d’acqua (il più grande igloo mai realizzato per un contesto museale) e in Senza titolo, nel Cubo, contraddistino dalla presenza di un cervo sulla sommità. Nel mezzo una straordinaria raccolta di operecomposte da una molteplicità di materiali: dal vetro spezzato alla cera, dalle lastre di marmo alla pietra, dalla rete metallica alla tela e ancora argilla, fascine di legna, giornali, luci al neon che restituiscono parole, pensieri, numeri. E proprio i numeri assumono un ruolo fondamentale: fanno sempre riferimento alla cosiddetta “serie di Fibonacci” a cui Merz si appassionò alla fine degli anni ’60 leggendo i testi del filosofo naturalista toscano. I numeri di Fibonacci rappresentano i processi di crescita del mondo naturale e rimandano anche a un’idea di continua trasformazione ed evoluzione, una sorta di successione potenzialmente infinita.

La mostra, che resterà aperta fino al 24 febbraio 2019, è gratuita. Da vedere assolutamente.

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