venerdì 26 ottobre 2018

Le provocazioni degli "scugnizzi inglesi" che rivoluzionarono l'arte (da Gilbert&George a Damien Hirst)

Damin Hirst, Problems
Napoli. Palazzo Zevallos è un magnifico edificio del Seicento nel cuore di Napoli. I proprietari avrebbero preferito che la loro dimora fosse realizzata nei Quartieri Spagnoli, ma essendo troppo affollati dovettero ripiegare su via Toledo, «la strada più popolosa e allegra del mondo», come la definì Stendhal. E anche tra le più "focose": nel corso dei tumulti popolari del 1647, l' edificio venne preso d' assalto e dato alle fiamme.
«Una torcia accesa per la nostra mostra», avrebbe detto Gary Hume di fronte a quelle scena. Lui, insieme ad alcuni compagni di studio in uno dei college più prestigiosi di Londra, il Goldsmith, fondarono alla fine degli anni Ottanta il gruppo Young British Artist. Capeggiati da Damien Hirst (quello dello squalo immerso nella formaldeide, delle vetrine con pillole o strumenti chirurgici, dei "mandala" costituiti di farfalle, del teschio ricoperto di diamanti), quei giovani artisti erano dei provocatori bisognosi di esplodere come meteoriti in rotta di collisione con la Terra. Cresciuto nello York-shire operaio, tra educazione cattolica e vinili dei Sex Pistols, tra un arresto per taccheggio e l' altro, fu proprio Hirst ad ideare e promuovere la prima mostra degli youngbrit che si svolse nel 1988 negli ex uffici portuali della Londra. Volle chiamarla Freeze perché l' obiettivo doveva essere quello di stupire, colpire, in una parola, congelare. Il caso volle che proprio il giorno dell' inaugurazione, scoppiò un incendio in un caseggiato vicino alla sede espositiva. A Gary Hume sembrò un presagio e pronunciò la famosa frase: e davvero la mostra fu la miccia che fece esplodere una nuova modalità di espressione, aggressiva nella sua volontà comunicativa, riflesso di una posizione spesso causticamente cinica nei confronti della società.

London Shadow, Gilbert&George
A distanza di quarant' anni Palazzo Zevallos Stigliano - oggi sede di Gallerie d' Italia - ospita una mostra che racconta quella generazione che sconvolse l' arte contemporanea imponendo con prepotenza segni, messaggi e codici espressivi nuovi: stupire, terrorizzare, disgustare attraverso l' utilizzo disinvolto di ogni linguaggio artistico costringendo gli spettatori a fare i conti con la realtà. London Shadow. La rivoluzione inglese da Gilbert & George a Damien Hirst, è proprio questo: nel titolo si ispira a un'opera di Gilbert & George (il "duo terribile" attivo fin dalla fine degli anni '60, precursori di quelle temperature caustiche e irriverenti che caratterizzeranno la seconda metà degli anni '80) e riassume tensioni, ambiguità, vitalismo e contaminazioni della cultura inglese degli ultimi decenni fino ad oggi. Che comprende anche la musica (il Brit Pop, l' elettronica dei club), la letteratura (Irvine Welsh e gli acidi scozzesi, le periferie indiani di Hanif Kureishi), la moda (Kate Moss, le riviste e stilisti come Alexander McQueen).

Ophelia, Mat Collishaw
Ecco allora le opere di Damien Hirst, tra cui Problems, proveniente dal suo studio di Londra, a cui si affiancano le spatolate materiche di Jason Martin, le strisce di colore di Ian Davenport, i grandi fiori super pop di Marc Quinn e la sua versione contemporanea della Vanitas, la manipolazione digitale di Julian Opie. E ancora: le serie fotografiche di Darren Almond, l'installazione minimalista di Liam Gillick, la scritta Things di Martin Creed, e ancora il riflessivo lavoro di Gillian Wearing, le fotografie cieche di Douglas Gordon, la rivisitazione del mito di Ophelia di Mat Collishaw e i beffardi interventi di Gavin Turk che gioca sul rovesciamento tematico e sull'inganno percettivo in lavori che "imitano" celebri icone della storia dell' arte come il Love di Robert Indiana e un Concetto Spaziale di Lucio Fontana.

Gavin Turk
Tracey Emin
Di grande interesse, inoltre, le esperienze creative delle giovani artiste donne della YBA, le bad girl che esaltano i temi del femminismo sfiorando la cattiveria e la sessualità esplicita (è il caso dei neon di Tracey Emin, delle sculture di Sarah Lucas, dell'installazione video di Sam Taylor-Wood).
La mostra - che si può visitare fino al 20 gennaio 2019 - costringe il visitatore a riflettere. Gli artisti inglesi della Londra anni Novanta, utilizzano l'ordinario e il quotidiano potenziandoli, capovolgendone il senso, sino a farne emergere l'aspetto più ambiguo, oscuro, spesso celato dietro la nostra frenetica incapacità di fermarci a guardare la vita.

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