L'opera di Gijsbrechts (1670-75) |
Tra il 1670 e il 1675, il pittore Cornelius Norbertus
Gijsbrechts dipinge a olio per la prima volta nella storia dell’arte qualcosa
che mai era stato ritenuto degno di essere raffigurato. Non una scena
religiosa, non il ritratto di un nobile committente, non un interno, non un
paesaggio e nemmeno una natura morta: lui sceglie di raffigurare il retro di un
dipinto sul davanti di una tela. Lo fa nei mimimi particolari avendo cura di
riprodurre le venature del legno sul telaio, creando zone d’ombra che
naturalmente si sarebbero prodotte dallo spessore delle assi. Non solo: rifà la
fitta connessione tra trama e ordito della tela, i chiodi nei minimi dettagli e
perfino un piccolo cartellino d’inventario solo parzialmente attaccato alla
superfici.
Si tratta decisamente di un’opera fuori dall’ordinario per
la pittura dell’epoca non solo perchè è libera da ogni contestualizzazione ma
anche perchè diventa un particolare «trompe-l’oeil» che non inganna l’occhio
con un’immagine ma con ciò che ci dovrebbe essere dietro l’immagine innescando
così una meditazione sul concetto di «non visibilità» che innalza l’oggetto
ritratto alla dignità di protagonista.
La scelta trasgressiva del soggetto rappresenta inoltre la
prima manifestazione assoluta e integrale di un gesto autoriflessivo della
pittura, un iniziale ed eversivo tentativo di pensare all’arte come a un medium
che pensa a se stesso e alle sue strutture nascoste generando così un nuovo
linguaggio.