L'opera di Gijsbrechts (1670-75) |
Tra il 1670 e il 1675, il pittore Cornelius Norbertus
Gijsbrechts dipinge a olio per la prima volta nella storia dell’arte qualcosa
che mai era stato ritenuto degno di essere raffigurato. Non una scena
religiosa, non il ritratto di un nobile committente, non un interno, non un
paesaggio e nemmeno una natura morta: lui sceglie di raffigurare il retro di un
dipinto sul davanti di una tela. Lo fa nei mimimi particolari avendo cura di
riprodurre le venature del legno sul telaio, creando zone d’ombra che
naturalmente si sarebbero prodotte dallo spessore delle assi. Non solo: rifà la
fitta connessione tra trama e ordito della tela, i chiodi nei minimi dettagli e
perfino un piccolo cartellino d’inventario solo parzialmente attaccato alla
superfici.
Si tratta decisamente di un’opera fuori dall’ordinario per
la pittura dell’epoca non solo perchè è libera da ogni contestualizzazione ma
anche perchè diventa un particolare «trompe-l’oeil» che non inganna l’occhio
con un’immagine ma con ciò che ci dovrebbe essere dietro l’immagine innescando
così una meditazione sul concetto di «non visibilità» che innalza l’oggetto
ritratto alla dignità di protagonista.
La scelta trasgressiva del soggetto rappresenta inoltre la
prima manifestazione assoluta e integrale di un gesto autoriflessivo della
pittura, un iniziale ed eversivo tentativo di pensare all’arte come a un medium
che pensa a se stesso e alle sue strutture nascoste generando così un nuovo
linguaggio.
Fino al 3 settembre i visitatori della mostra Abscondita:
segreti svelati delle opere d’arte troveranno ritratti, paesaggi, nature morte,
scene sacre e profane girate verso il muro. I protagonisti sini infatti i retri
di queste tele che spaziano dal tardo Medioevo al Novecento: c’è il dipinto di
Cornelius Norbertus Gijsbrechts, gentilmente concesso in prestito dal Museo
Nazionale di Cophenagen ma anche le opere di altri artisti del calibro di
Tiepolo, Canova, Hayez, Sironi...
Il crocifisso di Roversi |
Ciascuno di questi “retri” racconta e documenta una precisa
e affascinante storia, ignota al pubblico che invece conosce bene il fronte.
Tele, telai e cornici svelano la loro vera materia ma soprattutto si mostrano
supporto di informazioni determinanti per la conoscenza della storia del
dipinto, dell’artista e di coloro che nel tempo lo hanno posseduto. Dai chiodi
ai telai, dai cartellini delle esposizioni, ai restauri, ai codici di
inventario: tutte tracce che rivelano, a chi le sa decriptare, il percorso nel
tempo dell’opera. Ma non solo. Sui «lati b» spesso compaiono altri dipinti,
schizzi, studi. Come nel raro monocromo di Antonio Canova dietro al quali si
trova una sorprendente composizione analoga per fattura a quella del fronte
abitualmente esposto al pubblico; come il Crocifisso dipinto da Pietro Roversi
(1936) dietro al Ritratto di vecchio; come lo studio di Antonio Bianchi nella
parte posteriore di un ritratto femminile. Poi ci sono i fogli su cui Mario
Sironi ha disegnato: quale è il fronte? e quale il retro? Sono tutti incredibili.
Il sonetto per la badessa |
Non meno interessante il lato cieco de La beata Giovanna
Maria Bonomo (XVIII secolo) dove l’artista Francesco Trivellini compone un
sonetto in rima dedicato alla badessa.
La mostra permette al visitatore di superare la soglia del
visibile di quanto normalmente è proposto portandolo direttamente nel
“backstage” dell’opera. Lì si penetrano mondi ignoti che consentono di leggere
la storia dell’arte attraverso la percezione dei segnali, degli indizi. «Se
davanti troviamo le invenzioni», spiega la Casarin, «dietro c’è un mondo di
inventari».
Nessun commento:
Posta un commento