Tre ore non bastano. C'è Frida Kalho in versione "cerva", Virginia Wolf che indossa i vestiti della madre, Carla Accardi, Louise Bourgeois, Cindy Sherman, Judy Chicago, Sherrie Levine, Lee Miller e Man Ray, Rineke Dijkstra e Ida Applebroog tra le 127 artiste e artisti che danno vita alla mostra "La Grande Madre" allestita a Palazzo Reale. Domenica mattina, dopo averne sentito tanto parlare finalmente riesco ad andare a vederla. Con me c'è Dario, il mio compagno, incuriosito dall'arte contemporanea che ha superato la concezione di bello, di visivo e di estetico per raggiungere quella di sensorialità complessiva, ma soprattutto interessato alla "donna" e al suo potere.
Partendo dalla rappresentazione della maternità, passiamo in rassegna un secolo di scontri e lotte tra emancipazione e tradizione, assistiamo alle trasformazioni della sessualità, dei generi e della percezione del corpo e dei suoi desideri per poi perderci letteralmente nell'opera di Nari Ward nella sala 12 presentata nella brochure che accompagna la mostra come "un'installazione commovente che parla di infanzia perduta e immagina la città come una grande madre". In sottofondo l'inno "Amazing Grace", che dà il titolo all'opera, cantato dalla voce gospel di Mahalia Jackson, attivista per i diritti civili, diventato popolare in tutti gli Stati Uniti durante la guerra civile del 1861 e poi tra gli oppositori della guerra in Vietnam negli anni Sessanta.
In penombra, in uno spazio severo e monumentale troviamo duecentottanta passeggini usati legati tra loro. Duecentottanta passeggini sistemati a forma di scafo in mezzo a una distesa di maniche anticendio schiacciate. Su queste bisogna passare per perdersi nell'opera dell'artista giamaicano noto per aver saputo trasformare materiali di scarto in installazioni di grande impatto che toccano temi come la povertà, l'emarginazione e l'identità. "Ward", leggo nella brochure, "si è trasferito con la famiglia a New York in giovane età, e dopo aver studiato arte al Brooklyn College si è stabilito a Harlem. Impressionato dal proliferare di rifiuti e oggetti abbandonati che ricoprivano le strade di Harlem ha cominciato a collezionare oggetti che rivestivano per lui un interesse particolare grazie al loro potenziale simbolico e alla storia che racchiudevano. Dalla manipolazione di questi materiali sono nate le sue monumentali installazioni che richiamano l'attenzione delle spettatore sui danni e le cicatrici degli oggetti, evidenziandone al contempo una forte valenza simbolica ed estetica". Del suo lavoro Nari Ward dice: "E' la mia reazione a quello che vedo…una specie di catarsi…trovo roba abbandonata che non vedo come spazzatura perché è talmente prossima alla vita della gente che in qualche modo si carica di significato".
I passeggini di "Grazia meravigliosa" sono stati raccolti appunto da Ward agli angoli delle vie del quartiere. Usati dai bambini di Harlem fin quando non hanno iniziato a camminare, poi passati ai fratelli minori, agli amici di famiglia e di mano in mano fino a qualche clochard che lo ha "reinventato" come mezzo per trasportare le sue povere cose. Ognuno di quei passeggini ha una storia, ogni storia ha diversi protagonisti la cui presenza è ancora viva nell'usura della stoffa, nello sporco delle ruote. In quanto elementi del paesaggio urbano, fa notare Margot Norton, i passeggini riecheggiano anche quel motivo letterario ricorrente che vuole la città rappresentata nei panni di una donna, spesso di una madre. In questa molteplicità di riferimenti "Amazing Grace" riesce a esprimere il senso di smarrimento, adattamento e speranza.
Un'esperienza coinvolgente. Ci tornerò. Ci torneremo.
La Grande Madre, Palazzo Reale, Milano - fino al 15 novembre 2015
(foto: courtesy Fondazione Nicola Trussardi)
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