"Decisi di
dipingerla mentre legge assorta i vangeli. Così che… ad un tratto, un rumore,
un soffio d'ali… la Vergine alza gli occhi e vede l'angelo. Una Vergine che ha
paura del suo destino e che dice all'Angelo di non avanzare". Dietro
ogni opera d'arte c'è una storia. E quella dell'Annunziata, realizzata nel 1476 circa da Antonello da Messina,
merita di essere raccontata. "Quello non
sarebbe stato solo un quadro", ammette Antonio degli Antoni, detto il
Messinese, sul letto di morte a Maestro Colantonio, "ma un patto con la donna che desideravo. Un giuramento. Una
promessa di amore imperituro".
Grinet, tenuta nascosta dalla madre nel Beghinaggio di
Bruges, venne consegnata al Messinese durante il suo viaggio nelle Fiandre
affinché la portasse a Venezia per un matrimonio combinato con un ricco vedovo.
Fu a Bruges che iniziò ad usarla come modella per l'Annunziata. Lui, sposato,
si era follemente innamorato di quella giovanissima donna e il suo ritratto era
l'unico modo, quando le loro strade si divisero, per tenerla con sè, per
conservarne il ricordo e sperare in un nuovo incontro. Lo terminò solo molti
anni più tardi dipingendo la mano alzata della Madonna con il cadavere
dell'amata davanti. Antonello, depresso e senza speranza, aveva infatti
rincontrato Grinet durante un Carnevale a Venezia, si erano finalmente amati
con passione e devozione, ma la Morte, quella che aveva così tanto
impressionato il Messinese bambino con l'affresco di palazzo Sclafani a
Palermo, li separò di nuovo. Per sempre.
Ecco, la Morte. È questo il tema che ricorre nel libro. La
morte, infatti, non solo domina l'epoca della storia narrata da Antonello:
un'epoca crudele, affamata di gloria, dove i comprimari sono i familiari
meschini e sanguisughe, la nana Nannarella uccisa dall’amore nei vicoli di
Napoli, l'aristocratica Volatrice e forse erede al trono di Sicilia, il buffone
Cicirello, i viceré scaltri e i fanatici frati Osservanti, che scatenano a
Messina rivolte contro il malgoverno; ma accompagna anche tutta la narrazione:
dalla prima all'ultima pagina.
"L'uomo che
veniva da Messina" si apre con l'artista che si sta spegnendo nella sua casa dopo aver vagato per mesi
accompagnato da una bara con dentro Grinet. È il 1479 e il grande pittore
siciliano, appena tornato da una Venezia flagellata dalla peste, è famosissimo
ormai. “Ma la Sicilia non ama i suoi
figli più geniali” e Antonello lo sa. Per questo, nel delirio finale, invoca il
vecchio maestro Colantonio e rivive con lui l'infanzia pezzente e l'incontro
con i misteriosi artisti del Trionfo della Morte. Un delirio, raccontato in prima persona, che lo
porterà da una Napoli dominata dai cortigiani, come il Panormita e la bella
Lucrezia, alla Roma dei cardinali cialtroni e delle puttane; dalla Mantova del
Mantegna, alla Arezzo di Piero della Francesca; da Bruges, dove scoprì l'amore
e il segreto della pittura a olio, a una Venezia che gli darà fama e gloria e
l'amicizia coi Bellini.
Ma in quei viaggi una sola
ossessione: la pittura a olio dei fiamminghi. E una sola luce per Antonello:
Griet, la figlia bastarda di Van Eych, uccisa con il veleno, insieme al bambino
che portava in grembo.
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