mercoledì 4 aprile 2018

Così Hemingway impedì a Wright di costruire a Venezia

"Fallingwater" di Frank Lloyd Wright
Se in Italia non c’è alcuna opera dell’architetto Frank Lloyd Wright lo si deve, tra gli altri, a Ernest Hemingway. Lo scrittore, negli anni Cinquanta, appena tornato a Venezia, si oppose con ogni mezzo alla costruzione su Canal Grande di una foresteria destinata ad ospitare gli studenti dell’Istituto universitario di architettura della città lagunare. A progettarla, al posto di un palazzo diroccato di tre piani, era stato proprio Wright in onore del suo giovane allievo Angelo Masieri che aveva perso la vita nel 1952  in un tragico incidente stradale negli Stati Uniti durante un viaggio da Taliesin in Wisconsin (la casa-studio estiva di Wright) a New York.

In quella che avrebbe dovuto diventare la loro dimora Savina Rizzi, la moglie di Masieri, pensò bene di realizzare un “memoriale” a disposizione della città e dei giovani architetti. «Niente mi fa più piacere di realizzare qualcosa a Venezia per i miei buoni e gentili amici italiani», rispose Wright alla sua richiesta. Fu così che da lì a poco il genio che aveva concepito la casa sulla cascata (Fallingwater è una delle architetture più belle e innovative in assoluto) preparò un progetto ad hoc combinando perfettamente il modernismo con le forme e i materiali tradizionali veneziani.
Era il 1954. L’opera, però, venne bocciata senza appello dalla commissione edilizia del comune di Venezia, che, astenendosi dal giudicarne le particolari qualità architettoniche, si appellò alle prescrizioni regolamentari vigenti: troppo in contrasto con le architetture adiacenti e il timore che i nuovi volumi dell’edificio potessero oscurare la vista della basilica di Santa Maria dei Frari. In realtà la preoccupazione maggiore era che a Venezia si potesse diffondere il gusto americano a causa della pressione politica e finanziaria che gli USA esercitavano sugli alleati affinché la ricostruzione post bellica avvenisse secondo gli stilemi yankee. Anche la disinformazione della stampa non aiutò la realizzazione: i giornali, cosa del tutto falsa, sostenevano che l’architetto americano fosse intenzionato a costruire sul Canal Grande un hotel Hilton. E Hemingway fece del suo per convincere i veneziani, come si legge nella monografia curata dalla IUAV,   che quell’opera non si doveva fare.
Wright morì nel 1959 con il progetto del Memoriale Masieri nel cassetto.
Il progetto Masieri
Adesso quelle tavole sono in mostra a Torino nella mostra appena inaugurata alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli che si pone l’obiettivo di esplorare il pensiero di di Wright in merito all’architettura organica (quella che sembra plasmare la struttura della costruzione armonizzandola con l’uomo e l’intorno ambientale), a partire dal suo primo soggiorno in Italia nel 1910 fino alla sua ultima visita nel 1951, portando l’accento sul suo coinvolgimento nel dibattito architettonico, urbanistico e paesaggistico italiano.
Attraverso fotografie, oggetti, cataloghi, litografie e disegni originali Frank Lloyd Wright tra America e Italia racconta il rapporto del grande progettista con il Bel Paese a cominciare dalla sua romantica fuga sulle colline toscane. Nell’estate toscana del 1910 il giovane architetto americano già considerato come uno dei pionieri della cultura moderna si perdeva in lunghe passeggiate per le dolci colline tra Fiesole e Firenze insieme all’amante Mamah Borthwick Cheney per la quale aveva abbandonato la famiglia a Chicago, alimentando quello scandalo che lo aveva costretto a soggiornare a lungo in Europa. Con la scusa di dover curare una monografia sulla sua già consistente attività promossa dall'editore berlinese Wasmuth, l’architetto si sistemò infatti  insieme alla compagna in un’abitazione-studio a Fiesole con un piano terreno dedicato ai tavoli da disegno e le pareti ricoperte da schizzi e disegni e un primo piano per la vita privata che la coppia trascorre con momenti di intensa passione.

Fin qui gli aneddoti. Ma la mostra alla Pinacoteca Agnelli ha anche e soprattutto un grande valore scientifico. Fu a Fiesole, in quel contesto che il rapporto architettura-natura percepito e nel paesaggio toscano, con i suoi antichi e funzionali edifici rurali, più ancora di quelli cittadini, nutrì l’organicismo wrightiano. Le ricerche della curatrice Jennifer Gray sull’influenza che il pensiero di Wright ebbe in Italia e in particolare su Bruno Zevi vengono illustrate in un percorso suddiviso in sezioni: quella dedicata alle Prairie Houses, le case nella prateria in legno create all’inizio del XX secolo, con le litografie completate durante il soggiorno a Fiesole; quella dedicata alle sperimentazioni degli anni ’20 sui blocchi di calcestruzzo dove imprimere motivi ornamentali per fondere l’edificio con la vegetazione; quella coi progetti rivoluzionari degli anni ’30 (Fallingwater, Johnson Wax Building e Wingspread) e quella sui progetti pubblici e urbani come gli iconici  Unity Temple e il Guggenheim Museum e il meno noto  planetario e un centro governativo.
La mostra dedica poi tutta una zona ai grattacieli, grande ossessione del Maestro:  li progettò infatti per tutta la sua carriera ma ne realizzò solamente due. Il percorso espositivo si conclude con la sezione in cui viene affrontato il dibattito architettonico del nostro Paese negli anni ’40 e ’50. È qui che  trova un approfondimento il suo unico progetto per l’Italia: il Masieri Memorial.
Frank Lloyd Wright

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