domenica 14 maggio 2017

Cristi, miraggi e tarocchi: il padiglione Italia è il più bello della Biennale

Giorgio Andreotta Calò
«Sublime è tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore», scriveva nel 1757 Edmund Burke nel suo A Philosophical Inquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful. Per il filosofo irlandese la grandezza in senso spirituale, intellettuale, estetico è suscitata nell' umano sentire da tutto ciò che risulta essere indeterminato, i cui limiti sfuggono alle nostre capacità di rappresentazione e da tutto ciò che risulta essere oscuro o disarmonico. Ecco allora che non si fa fatica a definire «sublime» il padiglione italiano della 57esima edizione della Biennale di Venezia firmato da Cecilia Alemani. Il buio, l' inquietudine, il misticismo accompagnano il visitatore in tutti e duemila metri quadri dello spazio all'Arsenale fino alla fine del percorso che sfocia nel giardino delle Vergini.
Roberto Cuoghi

Un percorso dedicato a Il mondo magico scritto nel 1948 dall' antropologo Ernesto De Martino su quel complesso di credenze, riti e mitologie attraverso le quali l' individuo tenta di padroneggiare una situazione incerta e riaffermare la propria presenza nel mondo.
Si parte con la grande installazione di Roberto Cuoghi. L' artista - classe 1973 - ispirandosi al testo medievale ascetico Imitatio Christi ha trasformato gli spazi in una fabbrica dove vengono realizzati i crocefissi: le sculture prendono forma dalla colatura in un unico stampo di materiale organico (una sostanza gelatinosa chiamata agar-agar) fino alla fase di consolidamento. Attraversando un lungo tunnel di bolle di plastica trasparente, concepito idealmente come una via crucis con tanto di "stazioni", il visitatore assiste al processo di decomposizione, di asciugatura con il natron (un sale già usato dagli egizi per le mummificazioni), e di liofilizzazione delle sculture trattate come fossero dei cadaveri. Il Cristo esce a brandelli da questo girone infernale, ma il suo corpo ferito e ricomposto sulla parete che chiude la macabra officina, produce nel visitatore una potente suggestione e un grande senso di spiritualità molto simile a quello che si prova visitando cripte e catacombe.
Imitatio Christi
 E ad una enorme cripta somiglia anche la parte inferiore dell' opera del veneziano Giorgio Andreotta Calò. Il monumentale volume dell'Arsenale, laddove un tempo veniva accatastato il carbone,  è stato diviso in cinque navate da un fitto e complesso sistema di tubi innocenti appena percepibili nell' oscurità che sorreggono un "sopra" al quale si accede attraverso una scalinata che ricorda quelle che portano al sagrato delle chiese. Una volta saliti in cima basta girarsi su se stessi per assistere ad uno spettacolo che lascia sgomenti: l' universo mondo al rovescio, diviso in due emisferi speculari. Si fa fatica a capire come sia possibile. È un miraggio? È una proiezione? È una architettura ricostruita al contrario? Solo osservando attentamente lo spazio ci si rende conto che non è niente di tutto ciò: è solo una vastissima distesa di acqua che si estende in corrispondenza di tutta l' area sottostante. Il soffitto del padiglione si riflette e si ribalta nel lago artificiale generando una visione cristallina e per questo ancor più vertiginosa nella quale il visitatore entra a far parte riflettendosi a sua volta in un grande specchio posto all' estremità dello spazio. Rivive così l' antico mito romano del mondus Cereris secondo il quale nei pressi di Roma si trovava una fossa che fungeva da soglia tra due mondi, quello inferiore connesso agli inferi e quello superiore connesso alla realtà terrena e alla volta celesta: tre volte l' anno con una cerimonia rituale (il mondus patet) la fossa veniva aperta e il mondo dei vivi veniva messo in comunicazione con quello dei morti. Mondi paralleli, opposti, ma a loro modo complementari.
La seduta è in vece il titolo dell' opera con la quale la milanese Adelita Husni-Bey porta nel padiglione italiano la riflessione su temi a lei cari come razza, genere, classi sociali. Un gruppo di ragazzi è ripreso mentre partecipa a un workshop durante il quale si discute di ambiente a partire dalla lettura dei tarocchi. L' uso delle carte figurate diventa così una metodologia magica e pedagogica: i giovani, che nel film vedono i tarocchi la prima volta nella loro vita, contrappongono un approccio efficientista e capitalista che considera la terra come fonte di profitto da sfruttare, a una visione come materia contigua agli esseri umani, da proteggere e salvaguardare.
Cuoghi, Husni-Bey e Andreotta Calò - come nei riti descritti da De Martino - hanno dato forma a una triade di interventi che mettono in scena nel Padiglione Italia situazioni di crisi che vengono risolte attraverso processi di trasfigurazione estetica ed estatica. Dalle loro opere emerge l' immagine di un paese - reale e fantastico nello stesso tempo - in cui tradizioni antiche coesistono con nuovi linguaggi globali e dialetti vernacolari e in cui realtà e immaginazione si fondono in un nuovo mondo magico.
Quello italiano è il padiglione più bello di tutta la Biennale. Peccato non abbia vinto.
 
Franz Erhard Walther
La giuria dell' Esposizione internazionale ha infatti assegnato un doppio Leone d' Oro alla Germania: uno per la miglior partecipazione nazionale col padiglione curato da Susanne Pfeffer, l'altro a Franz Erhard Walther quale il miglior artista. Le motivazioni: «Installazione potente e inquietante che pone domande urgenti sul nostro tempo e spinge lo spettatore a uno stato di ansia consapevole. Risposta originale all' architettura del padiglione, il lavoro è caratterizzato da una scelta rigorosa di oggetti, corpi, immagini e suoni». Il lavoro di Franz Erhard Walther, invece, «mette insieme forme, colore, tessuti, scultura, performance e che stimola e attiva lo spettatore in un modo coinvolgente» ed è stato premiato anche «per la natura radicale e complessa della sua opera che attraversa il nostro tempo e suggerisce la mutazione contemporanea di una vita in transito».

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