«I pittori e i poeti hanno la
facoltà di inventare qualunque cosa a loro piace». Il vedutista veneziano
Bernardo Bellotto mette questa citazione dell’Ars Poetica di Orazio nel suo autoritratto datato 1764 per
rivendicare, qualora ce ne fosse bisogno, la sua libertà di artista. Ingaggiato dalle
più importanti corti italiane ed europee, il nipote di Canaletto la scrive su
un manifesto affisso su una delle colonne del monumentale portico che fa da
scenografia alla sua celebrazione insieme alle locandine degli spettacoli del
teatro di corte di Dresda: in
una, pittorescamente strappata, si riesce a individuare il titolo dello
spettacolo L’enfant prodigue di Voltaire; sulla colonna più in fondo è annunciato Rodogune di
Corneille, entrambe opere che Bellotto conosceva bene, facendo parte della sua
ricca biblioteca.
Di certo c’è che l’opera esposta nella
mostra alle Gallerie d’Italia di piazza Scala, finora inedita in Italia (è
stata venduta pochi mesi fa da un noto antiquario newyorkese all’Agnes
Etherington Art Centre Queen’s University), è tanto importante - per aver dato
un volto all’artista veneziano - quanto enigmatica. Si tratta di un capriccio: ovvero
l'arte di comporre il paesaggio
attraverso la libera combinazione di elementi architettonici reali o
fantastici, di rovine dell'antichità rielaborate. Un genere pittorico che
Bellotto, al pari dello zio Canaletto, utilizzava per distrarsi dalle numerose
commissioni, ma che necessitava dello stesso rigore e tecnica delle famose
vedute. Anche per i capricci Bellotto e Canaletto attingono dai disegni
preparatori ottenuti con l’uso della camera oscura, anche per i capricci i due
artisti rappresentano in maniera oggettiva e “scientifica” il paesaggio,
anche per i capricci utilizzano
soluzioni prospettiche rigorose. Ma dal confronto tra le “vedute ideate” di Canaletto
e Bellotto emergono bene pure i tratti che differenziano la loro pittura. Per il maestro il capriccio ha una dimensione
di pura fantasia: lo evidenziano i disegni che esegue per Joseph Smith e le stampe
della serie Vedute Altre prese da i
Luoghi altre ideate, incise a partire dal 1740
circa. Per Bellotto, invece, questo genere espressivo si nutre di soggetti
reali, ripresi a Venezia e durante tutti i suoi viaggi, ma montati “a capriccio”.
E l’autoritratto del 1764 ne è un
significativo esempio: si riconoscono infatti le architetture, una fantasia
veneziana, composizione di archi, colonne e bassorilievi della Libreria di
Jacopo Sansovino e delle Procuratie Nuove di Vincenzo Scamozzi, con una Piazza
San Marco dall’angolo arrotondato entro i fornici degli archi, quello centrale
con la lanterna, come nella Torre dell’Orologio che ispirò una stampa di
Canaletto e la versione di Bellotto. La patera marmorea a bassorilievo proviene
dal repertorio dei capricci con i motivi romani, mentre i vasi sono studiati
dal vero in due disegni del Muzeum Narodowe di Varsavia. E ancora: lo stesso
Bellotto nel ritrarre se stesso nei panni da procuratore si rifà al nobile in
veste rossa ritratto da Canaletto vicino a un’arcata della Libreria ne “La Piazzetta verso nord”, una delle sei tele commissionate nel 1722-1723 da
Joseph Smith. «Solo Bellotto»,
scrive la curatrice della mostra Bożena Anna Kowalczyk
nella scheda in catalogo, «poteva
raffigurare le imponenti architetture traducendole in un brano di poesia, solo
lui riusciva a dipingere i muri, le colonne, i fregi rendendo l’idea della loro
consistenza materica e della sicurezza strutturale».
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