mercoledì 7 dicembre 2016

I capricci dei veneti



«I pittori e i poeti hanno la facoltà di inventare qualunque cosa a loro piace». Il vedutista veneziano Bernardo Bellotto mette questa citazione dell’Ars Poetica di Orazio  nel suo autoritratto datato 1764 per rivendicare, qualora ce ne fosse bisogno,  la sua libertà di artista. Ingaggiato dalle più importanti corti italiane ed europee, il nipote di Canaletto la scrive su un manifesto affisso su una delle colonne del monumentale portico che fa da scenografia alla sua celebrazione insieme alle locandine degli spettacoli del teatro di corte di Dresda: in una, pittorescamente strappata, si riesce a individuare il titolo dello spettacolo L’enfant prodigue di Voltaire; sulla colonna più in fondo è annunciato Rodogune di Corneille, entrambe opere che Bellotto conosceva bene, facendo parte della sua ricca biblioteca.
L’artista si ritrae in mezzo a un’umanità varia di nobili, mendicanti e servitori indossando la porpora dei senatori veneti, come fosse un Procuratore di San Marco, che per lui, come puntualizza Sergio Martinelli nel catalogo, «doveva essere il segno evidente della più alta nobiltà e forse anche la sua più segreta, e delirante, aspirazione, pur con qualche vago sospetto, ma solo sospetto, di autoironia, che a noi, ma forse solo a noi, sembra un travestimento da carnevale veneziano».
Di certo c’è che l’opera esposta nella mostra alle Gallerie d’Italia di piazza Scala, finora inedita in Italia (è stata venduta pochi mesi fa da un noto antiquario newyorkese all’Agnes Etherington Art Centre Queen’s University), è tanto importante - per aver dato un volto all’artista veneziano - quanto enigmatica. Si tratta di un capriccio: ovvero  l'arte di comporre il paesaggio attraverso la libera combinazione di elementi architettonici reali o fantastici, di rovine dell'antichità rielaborate. Un genere pittorico che Bellotto, al pari dello zio Canaletto, utilizzava per distrarsi dalle numerose commissioni, ma che necessitava dello stesso rigore e tecnica delle famose vedute. Anche per i capricci Bellotto e Canaletto attingono dai disegni preparatori ottenuti con l’uso della camera oscura, anche per i capricci i due artisti rappresentano in maniera oggettiva e “scientifica” il paesaggio, anche per i capricci utilizzano soluzioni prospettiche rigorose. Ma dal confronto tra le “vedute ideate” di Canaletto e Bellotto emergono bene pure i tratti che differenziano la loro pittura.  Per il maestro il capriccio ha una dimensione di  pura fantasia: lo evidenziano i disegni che esegue per Joseph Smith e le stampe della serie Vedute Altre prese da i Luoghi altre ideate, incise a partire dal 1740 circa. Per Bellotto, invece, questo genere espressivo si nutre di soggetti reali, ripresi a Venezia e durante tutti i suoi viaggi, ma montati “a capriccio”.  E l’autoritratto del 1764 ne è un significativo esempio: si riconoscono infatti le architetture, una fantasia veneziana, composizione di archi, colonne e bassorilievi della Libreria di Jacopo Sansovino e delle Procuratie Nuove di Vincenzo Scamozzi, con una Piazza San Marco dall’angolo arrotondato entro i fornici degli archi, quello centrale con la lanterna, come nella Torre dell’Orologio che ispirò una stampa di Canaletto e la versione di Bellotto. La patera marmorea a bassorilievo proviene dal repertorio dei capricci con i motivi romani, mentre i vasi sono studiati dal vero in due disegni del Muzeum Narodowe di Varsavia. E ancora: lo stesso Bellotto nel ritrarre se stesso nei panni da procuratore si rifà al nobile in veste rossa ritratto da Canaletto vicino a un’arcata della Libreria ne “La Piazzetta verso nord”, una delle sei tele commissionate nel 1722-1723 da Joseph Smith.  «Solo Bellotto», scrive la curatrice della mostra Bożena Anna Kowalczyk nella scheda in catalogo, «poteva raffigurare le imponenti architetture traducendole in un brano di poesia, solo lui riusciva a dipingere i muri, le colonne, i fregi rendendo l’idea della loro consistenza materica e della sicurezza strutturale».

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