Roska
Óskarsdóttir appartiene alla generazione di artisti radicali che hanno
voluto distruggere i confini tra arte e vita, che hanno combattuto contro lo
snobismo artistico della borghesia, la compiacenza politica delle masse e la
macchina dei professionisti della politica. Roska è stata pittrice, fotografa,
regista cinematografica ma soprattutto una sovversiva; il tema costante della
sua vita è stato "ribellione continua nel vivere la poesia e la
politica", come scrisse in un articolo del 1978 dedicato al surrealismo.
Insieme all'attore Manrico Pavolettoni, che in seguito
sarebbe divenuto suo marito, si impegnò per dimostrare l’innocenza
degli anarchici sotto processo per la strage di Piazza Fontana e per le bombe
di Roma. In particolare si misero alla ricerca di Udo Lemke, un giovane tedesco che la mattina del 13 dicembre 1969 si presentò in caserma dichiarando di aver
visto gli attentatori in azione all'Altare della Patria e di averli
riconosciuti. La storia di Lemke, che racconto nel mio libro "Le bombe di Roma", edito da
Castelvecchi, ha dell’incredibile.
Udo è un
personaggio marginale ma se si analizza il suo comportamento ci imbattiamo in
tante e tali stranezze che sembrano pianificate a tavolino: è un personaggio
che spunta fuori dal nulla, riesce a spostarsi con grande facilità per trovarsi
in situazioni che meriterebbero di essere chiarite; sparisce, riappare, parla e
poi ritratta, passa per pazzo ma dice cose che alla fine la Cassazione ha
dovuto in qualche modo ammettere. Il giorno dopo gli attentati aveva già
indicato la pista nera, già aveva parlato dei rapporti tra la mafia e l'estrema
destra, già aveva parlato di quel piano eversivo che verrà rivelato solo mesi
dopo. Il giorno dopo le bombe aveva già scagionato gli anarchici.