Struttura modulare bianca 1970 |
sabato 21 luglio 2018
Agostino Bonalumi e la sua arte flessibile
John Bock, l'artista serial killer che ti invita sulla scena del crimine
Il teatro dell’assurdo firmato da John Bock va in scena negli spazi del Podium della Fondazione Prada a Milano. Assurdo e caotico lo definirebbe chi si trova per la prima volta davanti alle opere (si possono chiamare così?) dell’artista tedesco noto per le performance che lui chiama «lectures» (parodie di presentazioni accademiche che si svolgono in ambienti allestiti con oggetti di uso quotidiano, materiali trovati e di scarto, mobili e altri elementi disposti a formare universi illogici, in cui i visitatori sono invitati a partecipare). A prima vista tutto ciò appare senza senso, ma in realtà il lavoro di Bock è sempre molto lucido e rigoroso: attraverso un personalissimo collage, supera e reinventa i tradizionali confini della storia dell’arte vampirizzando i generi, con la conseguenza che dipanare il bene e il male diventa impossibile impossibile.
lunedì 2 luglio 2018
Eugene Smith e il suo viaggio all'inferno
«Non ho mai scattato una foto, buona o cattiva, senza che mi provocasse un turbamento emotivo». Questa dichiarazione riassume il concetto di fotografia per William Eugene Smith (1918-1978), che volle e riuscì a fondere nella sua persona l'artista e il reporter. A lui non bastava realizzare il servizio: il suo obiettivo era quello di sovrapporre alla mera documentazione di aspetti crudi e dolorosi della realtà la sua visione creativa così da elevare la condizione umana ad una dimensione epica.
Non credeva alla obiettività del fotografo. Dichiarava pubblicamente di non accontentarsi di «registrare i fatti», voleva darne una giusta interpretazione così da «simbolizzare l'universale». E ci riuscì: attraverso i suoi scatti, Smith è riuscito a raccontare storie di vita toccando le emozioni e la coscienza degli spettatori.
Lo dimostra la mostra in corso alla Fondazione Mast di Bologna a cura di Urs Stahel, la prima in Italia interamente dedicata a Smith e alla sua monumentale opera realizzata a partire dal 1955 a Pittsburgh, all'epoca la principale città industriale del mondo. Il progetto, considerato da lui stesso l'impresa più ambiziosa della propria carriera, segnò un momento di svolta nella sua vita professionale e personale.
Non credeva alla obiettività del fotografo. Dichiarava pubblicamente di non accontentarsi di «registrare i fatti», voleva darne una giusta interpretazione così da «simbolizzare l'universale». E ci riuscì: attraverso i suoi scatti, Smith è riuscito a raccontare storie di vita toccando le emozioni e la coscienza degli spettatori.
Lo dimostra la mostra in corso alla Fondazione Mast di Bologna a cura di Urs Stahel, la prima in Italia interamente dedicata a Smith e alla sua monumentale opera realizzata a partire dal 1955 a Pittsburgh, all'epoca la principale città industriale del mondo. Il progetto, considerato da lui stesso l'impresa più ambiziosa della propria carriera, segnò un momento di svolta nella sua vita professionale e personale.
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