venerdì 7 aprile 2017

Niente cadaveri, Hirst mette in mostra il tesoro del liberto

La tuffatrice
C'è chi lo ritiene il più grande artista contemporaneo ed è disposto a pagare milioni per portarsi a casa una sua opera e chi lo odia considerandolo solo il prodotto di un'abile strategia di marketing o un sadico che usa i cadaveri degli animali. Di certo c'è che Damien Hirst spiazzando chi già gli avevano preparato la "festa", ha lasciato tutti a bocca aperta anche stavolta con la sua opera Treasures from the Wreck of the Unbelievable (GUARDA LE FOTO). Un progetto complesso e ambizioso tenuto sotto segreto istruttorio al quale l'artista inglese ha lavorato oltre 10 anni e che è stato presentato ieri (6 aprile 2017) a Venezia, in anteprima mondiale, nelle due sedi espositive della Pinault Collection: Punta della Dogana e Palazzo Grassi. Si tratta di un gioco? Di una caccia al tesoro? O è solo un sogno?

«Damien vuole che le opere costringano gli spettatori a porsi degli interrogativi», spiega la curatrice della mostra Elena Geuna. «Entrate, guardate e lasciate andare la fantasia, fatevi venire dubbi. Il significato dell'opera ognuno lo trova dentro di sé».
Prima di entrare nel fantastico mondo di Hirst, ci viene raccontata la storia dello schiavo Amotov, vissuto tra la fine del I e l'inizio del II secolo d.C. , che dopo essersi affrancato accumulò un'immensa fortuna. Tronfio di ricchezza, creò una sontuosa collezione di oggetti provenienti da ogni angolo del mondo antico. I leggendari cento tesori del liberto - oggetti commissionati, copie, falsi, bottini - furono caricati tutti insieme sulla gigantesca nave Unbelievable per essere trasportati in un tempio appositamente costruito in Oriente. Ma l'imbarcazione affondò consegnando il tesoro agli abissi.
La collezione rimase sul fondo dell' Oceano Indiano per quasi duemila anni. Fu scoperta nel 2008 e ora ecco la mostra di Hirst che raccoglie e mette insieme tutto ciò che è stato trovato, oltre ai video e alle foto dello scavo in fondo al mare: le gigantesche statue ricoperte di coralli, spugne, conchiglie, gorgonie come "La Guerriera" e "l'Orso", "La tuffatrice" e il maestoso calendario atzeco che accolgono i visitatori appena entrano a Punta della Dogana; i busti parzialmente ripuliti dai segni del tempo; e le colossali sculture bronze perfettamente restaurate come "Hydra e Kali". E ancora il "Mostro con la tazza", alto 18 metri, che occupa tutto l'ingresso - fino a sfiorare il sottotetto - di Palazzo Grassi; i colossi galleggianti sulla Laguna, e poi monete, vasi, armi da guerra, monili, conchiglie preistoriche, teschi di ciclopi.
Per ognuno di questi pezzi c'è una storia. L'ha inventata Hirst? Non è dato sapere. Del resto l'artista vuole che le persone che visitano la mostra credano che tutto quanto vedranno non è una sua opera (ha perfino girato dei video nei quali ci sono degli archeologi subacquei al lavoro per recuperare le statue). È per questo che ieri all'anteprima non si è fatto riconoscere. Nella doppia veste di artista e collezionista, ben camuffato tra i privilegiati spettatori, osservava le varie reazioni di fronte a quelle 250 opere che nessuno può attribuirgli.
«Ventimila seghe sotto i mari. Così l'avrei titolata io», mi dice Roberto D'Agostino. Anche lui ha visitato l'esposizione e il suo giudizio è tranchant: «Kitsch. Una mostra di Damien Kitsch». Al fondatore di Dagospia quelle sculture ricordano i souvenir che si vendono nei negozietti delle cittadine sul mare, tutti incrostati di cozze e ostriche, ma confermano anche ciò che diceva Picasso a proposito degli artisti, che restano dei bambini. «Lui è rimasto un bambino con i suoi incubi e con i mostri che gli rubano il sonno».
Del resto l'intento di Hirst, da quando conservava gli squali in una teca sotto formaldeide o ricopriva di diamanti un teschio umano o lasciava mangiare una testa di vitello dalle mosche, è obbligare lo spettatore a stare di fronte a un'immagine convincente di ciò che normalmente non ha il coraggio di guardare. Per lui compito dell' artista è quello di fare i conti con gli aspetti scomodi e inevitabili della realtà, come la brevità della vita o la trasformazione del corpo a opera del tempo. Tutto ciò per lui è il Bello. E la bellezza è ciò che colpisce nella mostra che sancisce il ritorno sulla scena del controverso artista nato a Bristol 52 anni fa: la bellezza senza tempo dell'arte, la sua capacità di generare novità, porre interrogativi e formare associazioni. «La magnificenza delle sculture, la preziosità dei materiali e l'altissima qualità tecnica con cui sono state realizzate», puntualizza la Geuna, «sono la testimonianza dell'ossessione del collezionista, del suo stravagante gusto estetico, della sua passione per un'idea di Bello che raramente è univoca e compatta, ma sfaccettata in una costellazione di stratificazioni e definizioni».
"Treasures from the Wreck of the Unbelievable” è destinata a dividere il pubblico tra fans e detrattori, ma quel che è indiscutibile è che Hirst ancora una volta è stato in grado competere con se stesso e di vincere. Anche perchè, sostengono i ben informati, l'operazione è di quelle a otto zeri: i pezzi più piccoli  di giada sono valutati a partire da 400mila dollari (378mila euro), mentre per una testa di Medusa di malachite, una delle opere più costose, si arriverà a quattro milioni di dollari (3,8 milioni di euro). Considerando che gli oggetti sono 250...
I tesori di Hirst si potranno ammirare fino al 3 dicembre prossimo.

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