sabato 25 giugno 2016

Sol LeWitt, l'arte concettuale e Giotto

«Mi piacerebbe produrre qualcosa che non mi vergognerei di mostrare a Giotto», diceva Sol LeWitt progettando i suoi Wall Drawing.
Era il frescante di Assisi il Maestro a cui l’artista americano guardava mentre prendevano forma quelle grandi opere murali dove le figure geometriche si accendevano di rossi sgargianti, gialli solari, da blu elettrici. Opere di facile lettura che lo resero uno dei più amati artisti contemporanei ma che in realtà nascono da ragionamenti complessi su teoremi matematici e regole apprese studiando la pittura del Quattrocento italiano. In particolare gli affreschi dove, spiega Sol LeWitt «non veniva usata la prospettiva lineare ma un sistema di prospettiva isometrica che appiattiva le forme». Come Giotto, che settecento anni prima aveva interpretato l’arte come una misurazione mentale del mondo, così l’artista americano mirava a sollecitare prima di tutto la mente dell’osservatore piuttosto che il suo occhio e le sue emozioni.

Di origini ebraiche, soldato nella Guerra di Corea, assistente nello studio dell’architetto I.M. Pei poi divenuto celebre per le piramidi del Louvre, docente alla New York University e alla School of Fine Arts, dopo gli esordi artistici d’impronta minimalista Lewitt stilò nel 1967 il manifesto Paragraphs on Conceptual Art sostenendo che l’arte non è da identificarsi con la sua materia, ma con l’idea che ne sottintende l’esecuzione; e di conseguenza compito dell’artista è quello di formulare unicamente il progetto, mentre l’attuazione dell’opera è un’attività minore che può essere delegata ad altri.
Un po’ come la musica, spiegava LeWitt che «come la udiamo è il risultato finale mentre le note che la producono esistono solo per essere lette da chi le può comprendere e utilizzare, cioè i musicisti che eseguono il pezzo indicato sulla partitura. Il pubblico invece ascolterà la musica che nasce dall’esecuzione, ma sarà all’oscuro delle unità minime che la sovrintendono». È l’arte concettuale! E Lewitt è uno dei padri fondatori.
A lui e alla sua evoluzione creativa è dedicata la mostra in corso presso lo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano (corso Monforte 23) che si potrà visitare fino al 25 novembre che propone 34 opere su carta - gouache, disegni, acquerelli - e tre progetti per i famosi Wall Drawing, i suoi murales, che rappresentano la sua cifra espressiva più alta e riconoscibile: dalla rigorosa e schematica moltiplicazione di un cubo di base (Cube Without a Cube, 1982) o di un rettangolo (Folded Paper, 1971) che svelano in bianco e nero il principio delle sue note sculture a griglie modulari, fino alle grandi figure di solidi geometrici irregolari che anche nell’uso astratto e matematico del colore si ricollegano alla pittura di Piero della Francesca (Geometric Figure, 1997), per finire con molti significativi esempi delle famose linee colorate ondulate o aggrovigliate che sono alla base di importanti interventi pubblici come quelli per l’Ambasciata Americana alla Porta di Brandeburgo a Berlino o per la Metropolitana di Napoli.
«Le opere di Sol LeWitt», scrive Gianluca Ranzi, «sollecitano la mente dell’osservatore piuttosto che il suo occhio e le sue emozioni», (…) brillando «di una ricchezza contraddittoria che sa mettere in relazione la freddezza della logica e dell’astrazione ideativa con il calore del pulsare della vita e dell’immaginazione creativa».

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