Sovvertire i valori costituiti attraverso la manipolazione e
l’esibizione del proprio corpo. Abolire la distanza tra artista e
pubblico facendo dell’arte un fondamento della comunicazione sociale,
uno specchio e un laboratorio dei cambiamenti in atto. Il pubblico non è
più considerato uno spettatore passivo, ma parte integrante dell’opera
stessa. È la Body Art, signori! Una rivoluzione culturale che fin dagli
anni Sessanta ha visto le donne grandi protagoniste con performance in
ogni parte del mondo rivendicate come scelta politica per la parità di
genere proprio negli anni cruciali del movimento femminista. Volutamente
effimere e legate al qui ed ora dell’accadimento, molte delle creazioni
di queste artiste hanno natura essenzialmente concettuale e sono
arrivate a noi attraverso riproduzioni in forma fotografica o filmica
oppure attraverso la conservazione di oggetti impiegati in occasione
delle azioni.
Oggi una bella mostra, Gestures - Women in action a
Merano, le celebra e le propone al grande pubblico. Da Yoko Ono a Marina
Abramovic, da Orlan a Shirin Neshat, da Valie Export a Gina Pane, da
Carolee Schneemann a Yayoi Kusama, Ana Mendieta, Charlotte Moorman, fino
alle più contemporanee Sophie Calle, Jeanne Dunning, Regina José
Galindo, Silvia Camporesi e Odinea Pamici tutte hanno abolito i confini
tra teatro, spettacolo, comunicazione e arte, usando il proprio corpo
per denunciare la condizione della donna nel mondo. Seguendo il percorso
espositivo troviamo l’opera dell’austriaca Valie Export (pseudonimo
attraverso il quale l’artista ha voluto negare il cognome paterno
sostituendolo con la marca di sigarette austriache “Export Smart”), che
ha al centro della sua poetica la protesta contro la sofferenza psichica
e fisica subita dalle donne. C’è poi “Ballo per Yvonne” della
provocante triestina Odinea Pamici che gioca con gli stereotipi
femminili, con i simboli del matrimonio e della cucina come spazio
consacrato alla donna dalla tradizione. E ancora: le grandi fotografie
della francese Orlan, famosa per le operazioni di plastica facciale e di
chirurgia estetica attraverso le quali ha modificato il proprio corpo
rendendolo materiale artistico primario e riflettendo sul tema
dell’ibridazione tra natura e tecnologia. Non mancano gli scatti e i
video della Abramovic nota per le sue performance estreme, attraverso le
quali ha esplorato i limiti della sopportazione corporea, le
potenzialità della mente e della concentrazione. Molto bella è l’opera
dell’iraniana Shirin Neshat che indaga il ruolo sociale della donna
nelle società islamiche contemporanee.
Grande risalto è dato a Yoko
Ono, pioniera di questa corrente: era già attiva negli anni Cinquanta
nel movimento Fluxus, gruppo che ha posto le premesse per lo sviluppo di
questo tipo di sensibilità espressiva. In mostra il celebre video e
alcune fotografie della performance “Cut piece” (1965) e alcune immagini
della performance eseguita con il marito John Lennon: “Bed In” (1969).
Di Jeanne Dunning sono proposte delle sequenze dalla serie “Long Hole”
(1994-96) nella quale l’artista statunitense riflette sulla relazione
che ognuno di noi intrattiene con la propria singolare fisicità,
identità e sessualità, esplorando gli aspetti stranianti che emergono da
questo confronto. Ad accogliere il visitatore il violoncello
dell’artista e musicista americana Charlotte Moorman e il video che
mostra la performance in cui l’lo ha adoperato. La mostra, aperta fino
al 10 aprile, è preziosa e testimonia un percorso artistico tortuoso
attraverso il quale le donne protagoniste del movimento della Body Art
hanno mutato profondamente il corso dell’arte contemporanea.
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