Il nome, lo stemma visconteo originario, la conformazione concentrica e molti scorci della città nei quali spesso ci si imbatte per caso: tutto a Milano parla di acqua, nonostante non ci siano laghi né tantomeno il mare. Il capoluogo lombardo è infatti ricco di corsi, fiumi e navigli che scorrono nelle viscere e di cui ci si ricorda solo quando esondano, come il Seveso o il Lambro; è pieno di sorgenti che nei secoli hanno dato vita a terme e piscine; di fontane e “fonti miracolose” trasformate in battisteri.
L’acqua è l’elemento cardine attorno al quale si è costruita la fisionomia dell’urbe, la sua prosperità e la sua fortuna storica. Lo stesso nome Milano, stando alle ricerche più recenti, sarebbe riconducibile alla presenza dell’ansa di un fiume. Lo testimonia l’interessante e bella mostra “Milano città d’acqua”, aperta anche nei giorni di festa a Palazzo Morando (in via Sant’Andrea, 6), che con le sue centocinquanta fotografie offre ai visitatori la possibilità di conoscere, a partire dalle cronache due-trecentesche di Bonvesin de la Riva e di Galvano Fiamma, la città ambrosiana ricca di rogge e canali lussureggianti e pescosi, e disseminata di mulini. Come Amsterdam. Dal tardo medioevo la città diventò infatti la fucina dei migliori ingegneri idraulici d’Europa, veri e propri maestri nella gestione delle acque. Il Naviglio della Martesana, prima ancora il Naviglio Grande, la Fossa interna, le prime conche del mondo, apparse in città verso la metà del Quattrocento sono solo alcune delle testimonianze della maestria meneghina in tema di gestione e utilizzo delle acque. Insieme ai canali sorsero ovviamente molte attività: mulini, concerie, attività produttive che necessitavano del regolare corso d’acqua per potersi sviluppare. Curata da Stefano Galli, la mostra documenta anche l’importante ruolo assunto dall’acqua per la difesa militare della città, nonché per la sua crescita economica e industriale: c’è la storia dell’Idroscalo (costruito per ospitare l’atterraggio degli idrovolanti), e quella della Darsena che, per alcuni decenni, è stato l’ottavo porto italiano per traffico di merci. Non mancano le curiosità come l’esperimento dell’uomo scafandro sul Naviglio grande nel Settecento, e le ragioni che hanno salvato l’Acquario Civico dalla demolizione. Fino ad arrivare a via Melchiorre Gioia. La via che si estende per quasi 2,5 chilometri dai Bastioni di Porta Nuova fino alla Cascina de’ Pomm era fino ai primi anni ’60 percorsa dalla Martesana, un corso d’acqua artificiale che permetteva alle acque dell’Adda di arrivare fino alla Cerchia Interna. Lo testimoniano i ponti su viale Lunigiana, in viale Nazario Sauro, in via Galvani fino ad arrivare al ponte delle Gabelle, dell’Incoronata e dei Medici. Fino a San Marco dove c’era el Tombon: una darsena famosa per i numerosi suicidi (nella foto).
Oggi, 55 anni dopo la chiusura del naviglio, i cui lavori iniziarono nel 1460 sotto gli Sforza, si chiacchiera ancora di come era più bella la via con il canale aperto. Chissà. Forse con il nuovo sindaco... Nel frattempo merita una visita “Milano, città d’acqua”, aperta fino al 14 febbraio 2016.
Nessun commento:
Posta un commento