Può esistere un periodo di
creatività straordinaria mentre la nazione corre verso la catastrofe
di una guerra mondiale? Assolutamente sì. Nel Ventennio le arti
decorative sono state infatti l'unico ambito in cui è sopravvissuto un autentico
e reale libero arbitrio e lo dimostra l'innovativa, eccentrica, spiazzante
produzione tra le due guerre ben documentata dalla mostra "Dal liberty al
design italiano" in corso fino al 17 gennaio al Palazzo delle Esposizioni
di Roma. "Le arti decorative", spiega Guy Cogeval, il presidente del
museo d'Orsay, nel catalogo edito da Skira, "dai mobili eccentrici di
Carlo Bugatti, alle invenzioni dei Futuristi, fino alle inaspettate sedie rosse
di Marcello Piacentini, ci parlano di una creatività gioiosa, di una capacità
inventiva senza limiti, ma soprattutto definiscono un carattere italiano che
ancora oggi contraddistingue il design, la moda, l'arte".
E in effetti quei tinelli,
quei vasi soffiati a Venezia, quei servizi da caffè, quelle poltroncine, quei
piatti in vetrina sembrano così moderni da poter essere proposti in uno dei
contemporanei saloni del mobile. Le sedute, ad esempio, firmate da due tra le
più importanti figure del primo razionalismo italiano: Gino Levi Montalcini,
fratello della scienziata ebrea Rita Levi Montalcini, e da Giuseppe Pagano, che
morì nel 1945 nemmeno cinquant’anni nel campo di concentramento di Melk dopo
essere stato deportato da Mauthausen. O la lampada Bilia di Gio Ponti,
l'architetto di Milano che divenne promotore
dell’industrial design italiano con la produzione in serie dell’arredo
d’interni proponendola come soluzione “sofisticata”, economica, “democratica” e
moderna.
La rassegna, un centinaio di
opere, ha come sottotitolo "La Dolce vita?" e segue un percorso
cronologico. Si parte dell'Art Nouveau, noto in Italia come 'stile Liberty' - ben
riconoscibile dalle linee curve ispirate alla natura - che si impose nel clima
di ottimismo del governo Giolitti con la prima Esposizione Internazionale delle
arti Decorative di Torino del 1902. Ci sono i mobili rivestiti di pergamena
dalle forme fantastiche e zoomorfe di Carlo Bugatti, e quelli con intarsi di
madreperla di Eugenio Quarti, o ancora le opere in ferro battuto ispirate alla
natura di Alessandro Mazzucotelli. La loro arte si ricollega all'opera dei
pittori divisionisti come Previati, Segatini, Pellizza da Volpedo.
Al gusto Liberty divenuto lo
stile dominante della nuova classe borghese, si oppone il movimento Futurista.
Nato nel 1909 col manifesto di Tommaso Marinetti, si estende alle arti
decorative solo dopo la Prima guerra mondiale: in mostra ci sono opere di Gino
Severini, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Luigi Russolo, Fortunato Depero.
La sezione intitolata
'Metafisica' documenta invece gli anni del “ritorno all'ordine” che seguono in
tutta Europa la stagione delle avanguardie assumendo in Italia diverse
declinazioni nell'ambito delle arti plastiche e decorative, da De Chirico e
Savino a Felice Casorati. Nel 1922 nasce il movimento 'Novecento italiano' che
propone un ritorno al 'classicismo moderno', fondato su purezza di forme e
armonia della composizione, destinato a divenire l'espressione ufficiale del
regime. La mostra si chiude con il movimento razionalista,
caratterizzato da mobili dalle forme pure, prive di decorazioni, con materiali
innovativi come il tubolare metallico, giungendo all'integrazione delle arti
con il mondo dell'industria ben testimoniato dalla radio di Francesco Albini e
dalla macchina da scrivere Olivetti di Aldo Magnelli.
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