In una piazza Scala gremita di turisti e illuminata da un caldo sole autunnale campeggiano le gigantografie di due opere di Francesco Hayez, protagonista della grande mostra che apre oggi a Milano negli spazi delle Gallerie d’Italia. In una c’è il celebre Bacio nella versione del 1859, nell’altra la Meditazione: un’opera che non ha alcun significato religioso nonostante la croce in primo piano. Si tratta infatti di un’allegoria che descrive la situazione politica italiana subito dopo i moti del marzo 1848 in cui il pittore si era battuto in prima persona per la liberazione dall’impero asburgico: la data, che è possibile leggere proprio sulla croce trattenuta dalla giovane donna («18.19.20.21.22 marzo1948»), è infatti quella delle Cinque giornate di Milano che diedero avvio alla Prima guerra di Indipendenza.
Hayez (1791-1882) realizza la Meditazione (nome scelto per fuorviare la censura) nel 1851 con il cuore pieno di amarezza per il naufragio della speranza di liberare l’Italia: la protagonista ha il seno scoperto, è una madre pronta a nutrire i propri figli, ma ha il volto accigliato, preoccupato; le mani provate dal peso del grosso volume e della croce esprimono rassegnazione; l’atmosfera è di profonda mestizia. Un messaggio politico, dunque, come quello contenuto nelle tre versioni (1859, 1861 e 1867) del Bacio che nell’esposizione di piazza Scala sono presentate per la prima volta insieme.
«Il grande artista ormai assurto tra i padri della patria, il quale si era battuto con la sua pittura per l’affermazione degli ideali del Risorgimento», spiega nel catalogo il curatore della mostra Fernando Mazzocca, «aveva voluto lasciare con questo piccolo quadro, dalla retorica facile e coinvolgente, un messaggio di ottimismo alla giovane nazione che, appena uscita dalle lotte per raggiungere l’indipendenza, doveva ora pensare a rigenerarsi». Ma osservandolo bene c’è un senso di misteriosa inquietudine, dovuto all’ombra proiettata lungo le scale alla loro destra, come se su i due amanti gravasse un destino avverso. Altrettanto inquietante è il varco a sinistra, risucchiato nell’oscurità, che non si sa dove possa condurci.
«Il messaggio politico», puntualizza Mazzocca, «era affidato agli abiti dei due amanti che compongono volutamente i due tricolori italiano e francese, espediente reso più evidente ed esaltato dalla variante del panno bianco abbandonato sulla scala nella versione inviata all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, facendo diventare il dipinto una sorta di allegoria che celebrasse la collaborazione, l’abbraccio tra le due nazioni, che aveva reso possibile la nostra unificazione».
Collaborazione che viene disattesa con la Pace di Francavilla con la quale l’Austria manteneva il dominio di Venezia e che fu sentita dai patrioti italiani, e in particolare dal veneziano Hayez, come tradimento di Napoleone III. Per questo nella versione del 1861 la fanciulla indossa un vestito bianco al posto di quello azzurro: l’abito lucente de satin blanc accostato al verde del mantello, più brillante in questa seconda redazione, assumeva un preciso significato patriottico, un dichiarato e orgoglioso omaggio alla nazione, suggellato dall’apposizione della data emblematica che segna la raggiunta unificazione italiana («Franc.sco Hayez veneziano fece 1861 di anni settanta»).
Per Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo che ha finanziato la monografica, «la pittura civile di Hayez offrì un importante contributo alla formazione di una coscienza nazionale. Hayez è stato il più grande pittore del nostro Ottocento, al pari di quello che furono in Francia Ingres e Delacroix e questa può essere un’occasione per un grande rilancio del pittore che nella sua vita aveva avuto uno straordinario successo, ma poi era caduto nell’oblìo».
La mostra, aperta fino al 21 febbraio, rappresenta infatti la più aggiornata esposizione monografica su Hayez, raccogliendo in un’unica sede oltre 100 tra dipinti e affreschi dell’artista, molti dei quali inediti. Il percorso segue una successione cronologica, ritmata dalla presenza degli autoritratti dell’artista, in mondo da rievocare insieme la sua vicenda biografica e il percorso creativo, dagli anni della formazione tra Venezia e Roma, ancora nell’ambito del Neoclassicismo, sino all’affermazione, a Milano, come protagonista del movimento romantico. Le diverse sezioni della mostra riflettono i mutamenti del clima culturale, storico e sociale di cui Hayez è stato un sensibile e versatile interprete, padrone di diversi generi come la pittura storica e il ritratto - celeberrimi quello del Manzoni o della Principessa Belgiojoso - la mitologia, la pittura sacra e un ambito allora di gran moda come l’orientalismo, sino a giungere alle composizioni - forse quelle più affascinanti e che più riflettono la sua indole di libertino - dove trionfa il nudo femminile, declinato in una potente sensualità che lo rende unico nel panorama del Romanticismo italiano ed europeo.
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