mercoledì 2 luglio 2014

Baby gang, quando la voglia di mazzate è tanta



di Dna

Ieri.
Sto portando al parco Margò. Passeggio tranquillo verso l'area cani. La solita. Sto li che penso agli affari miei mentre Margò annusa centimetro dopo centimetro il percorso che ci separa dalla sua area giochi.
Io uguale. Come lei osservo centimetro dopo centimetro il percorso che faccio. Guardo le persone, le loro facce, i loro movimenti. E' più forte di me. Nella vita guardarmi le spalle mi è servito: osservo attentamente ogni situazione, ogni gruppo di persone, ogni minima stonatura nell'ambiente che mi circonda, mi siedo sempre con le spalle al muro nei locali, controllo l'ambiente,  cerco di  capire i pericoli e le possibili soluzioni. Dov'è la bottiglia che posso usare, dove tiene i coltelli il barista, quello che è entrato è mancino o destro? E' armato? E' allenato? E' un fascio? E' una guardia? Dove sono le vie di fuga? E' solo o accompagnato? Che macchina ha? Che targa ha? Dove abita? Malavita? Politica? Oppure semplicemente un idiota sbruffone ubriaco?
Sono allenato a farlo, l'ho sempre fatto, anche se ormai i motivi che mi spinsero ad assumere questo modello di vita sono lontani, confusi, dimenticati.
Ma il corpo ricorda, la mente va per conto suo e ancora oggi mi ritrovo, volente o nolente ad avere gli stessi comportamenti, le stesse reazioni.
Mi ricordo ancora di una sera, stavo tornando a casa. Un urlo dietro l'angolo, il mio corpo che scatta, una figura che esce da quell'angolo e il mio cazzotto che parte. Senza pensare, un automatismo ormai parte di me. Quell'urlo, quella figura era una semplicemente una bambina in bicicletta, fortuna volle che riuscii a vederla prima che il mio colpo andasse a segno.
No, non sono un matto fuori controllo. Ho solo subito svariate minacce di morte, ho solo trovato sotto casa, in una mattina di primavera, due uomini convinti di potermi spiegare che la dovevo smettere di denunciare gli appalti truccati e le mazzette che giravano nella azienda dove lavoravo. Ho solo dovuto difendermi dalla merda di questo paese e l'ho imparato a fare.
Quindi, perdonatemi la paranoia che ancora, a volte, mi prende.
Ma torniamo a ieri.
Sono lì con la mia Margò diretto verso l'area cani. Io, lei e la mia paranoia latente.
Da lontano vedo una scena e capisco.
Nell'area cani c'è un ragazzo. Avrà quindici anni. Lo vedo spesso. Nonostante vesta da metallaro arrabbiato, ha la faccia pulita. Sta lì con il suo cane. Non parla mai. Almeno nel senso letterale del termine. Ma il suo viso dice molto, racconta della sua solitudine, di un'età difficile, del suo essere diverso in un mondo di ragazzini tutti uguali.
Attorno a lui, una decina di coetanei. Lo sfottono, lo prendono in giro. Lui esce per affrontarli, loro scappano, poi tornano e continuano a prenderlo in giro.
Passo dopo passo mi avvicino e la rabbia sale. Il branco ha puntato la sua vittima. I ricordi riaffiorano. Ormai sono vicino, li sento minacciarlo: “Esci se hai coraggio, vieni qua”.
Giusto o sbagliato mi scordo che hanno quindici anni. Arrivo all'area cani, guardo il primo teppistello che mi capita a tiro e gli dico “Ora ci divertiamo”. Apro il cancelletto, metto dentro il cane dicendo al “metallaro” di tenermelo. Esco dal recinto e vado verso il branco. Il mio corpo ha già reagito, e l'ha fatto a modo suo, non considerando che sono una manica di ragazzini sfigati e non una banda di naziskin. Mi ritrovo in mano il mio fido moschettone. Mi metto davanti al branco, ma il mio cervello non è attivo. “Infami, dieci contro uno, siete bravi. Dai fatevi avanti, chi è il primo”
Mi guardano. Provano una reazioni da coatti, mi lanciano qualche offesa, qualche provocazione ma nessuno si fa avanti. Li zittisco chiedendogli chi è il primo che vuole finire all'ospedale. Il branco si sfalda. Provano a lamentarsi dicendo che io sono un adulto, rispondo che visto che amano fare i prepotenti 10 contro uno oggi sarò io a fare il prepotente con loro.
Se ne vanno.
Torno dal mio cane. Il sangue torna ad affiorare al cervello, e mi sento una merda. Forse sono stato eccessivo, forse ho reagito troppo violentemente. In fondo sono solo ragazzini, prepotenti, bulli, ma sempre ragazzini.
Parlo con il “metallaro”, gli chiedo se quella banda sono amici suoi. Mi racconta di due anni di prese in giro, di provocazioni, di inseguimenti fin sotto casa. No, non sono suoi amici. Un paio, mi racconta, sono della sue ex scuola, gli altri no. Mi dice che da qualche mese hanno ricominciato. Gli domando se ha qualche amico che possa aiutarlo. Abbassa la testa: è quella la sua risposta.
Gli lascio il mio numero. Posso insegnarti a difenderti, se vuoi chiama.

Oggi.
Torno al parco, la situazione è tranquilla. Vedo il ragazzo giocare con il suo cane e lo raggiungo.
Del branco nessuna traccia.
Inizio a giocare con il mio cane, ma dura poco. Il branco sta tornando, lo vedo all'orizzonte.
Si sono portati i rinforzi. Il rinforzo. E' un ragazzo più grande, diciassette anni saprò dopo. Si vede che è il capo, una faccia da strada.

Iniziano di nuovo, incuranti di me, il capo comincia a provocarlo, gli chiede 10 euro “altrimenti vedi”.
Me ne resto un po' in disparte, non voglio reagire istintivamente come ieri. Aspetto gli eventi.
Prese in giro, minacce, richiesta di soldi da parte del più grande. Guardo, osservo, mi limito ad avvicinarmi al ragazzo e dirgli, lasciali stare, non li considerare e non parlarci. Mi allontano, il ragazzo mi segue. Il branco è dall'altra parte della staccionata. Sento il capo urlare “ricchione vieni qua, ricchione mi devi dieci euro”.
Mi salta il neurone.
Lo guardo e gli strillo: “Ce l'hai con me? No, perchè io sono un ricchione, sono un frocio, ce l'hai forse cone me?”.
Il capo inizia a trasudare rabbia, mi chiede se sono “il padre” rispondo di si, mi chiede se sono “il suo avvocato” rispondo di sì, mi urla di “farmi i cazzi miei, di stare zitto e di andarmene”.
Lo guardo, la voglia di saltare la staccionata e staccargli la testa è tanta, ma penso, rifletto, respiro: sono ragazzi. Gli rido in faccia chiedendogli se pensa di farmi paura. Mi risponde con un “e tu pensi di farla a me?” Non rispondo, anzi rispondo con un sorriso e mi metto a guardare il mio cane.

Continuano con gli sfottò verso il ragazzo, e verso di me che ormai sono “il frocio”. Ma stanno ancora dietro la staccionata, e oggi mi viene da ridere.
Il ragazzo vicino a me, anche lui fa finta che non esistono. Ma quelli continuano e alla fine risponde.
Il capo allora scende dalla sua bicicletta (sì una baby gang in bicicletta), prende la catena che aveva con sé e inizia a minacciare il ragazzo.
Mi avvicino, con calma. Gli dico di posare quella catena che tanto non è credibile. In risposta ricevo un “la vuoi provare tu?” e fa il gesto per entrare.

La carogna ormai mi è risalita, escono una paio di porco qui e porco la, m'hai rotto il cazzo qui m'hai rotto il cazzo li. La coattagine di anni di periferia e di stress riaffora. “Me stai a fa la malavita pezzo di merda?”,  esce dalla mia bocca. “Te dice male cojone e se non levi quella catena te la ficco su per il ****”.
Borbotta qualche cosa, ma il coraggio di venirmi a dare una catenata in faccia gli manca. Meglio per lui, meglio per me. Se ne vanno, o meglio fanno finta di andarsene, mentre una vedetta gira come uno squalo aspettando che io vada via e che il ragazzo rimanga da solo.
Mi guardo il ragazzo, mi dice che aspettano e che lo seguiranno fino a casa. Gli suggerisco di starsene qualche giorno lontano dal parco, non per paura, ma perché sono troppi e da solo non può affrontarli. Gli dico che creerò un diversivo e di andarsene quando io varco il cancello.
Esco, punto la vedetta. Mi vede, e nel panico si distrae e non vede il ragazzo uscire.
Gli arrivo vicino e gli sorrido. Il ragazzo è ormai lontano. Per oggi è andata bene.

Domani chissà.
Dentro di me rimane la rabbia per l'infamia e la prepotenza che invade questa società sin dall'adolescenza.
La mia paranoia sale e dentro di me, nella mia immaginazione, ho già staccato teste a fratelli padri cugini parenti  e malavitosi che verranno a difendere la prepotenza dei loro pargoli.
Ma questa è un'altra storia, quella era un'altra vita... e oggi io sono diverso, oggi non sono il mio passato, oggi ho imparato a respirare... ma posa quella catena.  Dna

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