Stamattina neanche voleva andarci a scuola. "L'ultimo giorno non si fa niente, le interrogazioni sono finite, c'è solo la premiazione del concorso…", mi ha detto mentre mi preparavo per andare in redazione. "Fai come ti pare. Ma almeno fa in modo che quando torno a casa la tua stanza sia a posto. Sembra che è stata investita da un uragano", le ho risposto scavalcando mucchi di vestiti sul pavimento che neanche un'istallazione di Pistoletto, sicura che al rientro l'avrei trovata nelle stesse condizioni.
Alla fine, invece, forse sperando di avere notizie dai prof sulla sua bocciatura (tutt'altro che campata in aria), ma soprattutto per non sistemare il suo "covo" ci è andata. E la notizia più bella che avesse potuto darmi è arrivata con una telefonata alle 11, mentre scrivevo un pezzo su Putin.
"Mamma ho vinto! Ho vinto! Ho vinto il primo premio", urlava al cellulare.
Non ci poteva credere. Non ci potevo credere. E questo non perché non avessi fiducia in lei e nelle sue capacità, semplicemente perché dopo la sfilza di tre e di quattro arrivati come pugnalate al cuore con l'ultima pagella, non mi facevo illusioni.
Lei, la gnappa, al primo anno di liceo è riuscita a superare le selezioni e conquistare quel premio al quale partecipavano anche maturande e maturandi, con una preparazione ben superiore alla sua. Ragazzi e ragazzi di Scienze e Umane e dello Scientifico, di diciassette e diciotto anni, che si erano impegnati per portare a casa il riconoscimento ed entrare negli annali del Russell che da diciannove anni organizza il premio. E in diciannove anni non era mai successo che una "primina" vincesse. Sofia c'è riuscita.
Era raggiante quando mi ha letto la motivazione per telefono: "Bellissima interpretazione del 'carpe diem' riportata alla vita di un'adolescente, che in modo maturo e sentimentale riflette sui propri errori, considerandoli come punti importanti da cui ripartire per evitare di commetterli ancora. Una riflessione commovente che emoziona per la profondità del senso che viene dato all'attimo da cogliere, per non distrarsi sempre quando c'è invece di stare attenti, soprattutto nelle occasioni in cui la vita ci interpella in prima persona, come quella della lezione di latino, che può sembrare noiosa, ma che in quel momento è fondamentale".
A me sono venuti i brividi e mi si sono inumiditi gli occhi. Vuol dire che i "semini" che ho piantato in questi quattordici anni, nonostante le litigate, i musi lunghi, gli errori di entrambe stanno germogliando, ho pensato. Quattordici anni pieni, pieni di sorrisi e qualche lacrima, di separazioni e di nuove avventure che ci hanno visto lottare insieme, ogni giorno più unite, per ricostruirci una vita in un'altra città, Milano, lontano dagli affetti più cari, dagli amici, dal nostro quartiere (la Garbatella). Ma ce l'abbiamo fatta, anche grazie a Dario, e questo testo è un altro traguardo superato.
Adesso bisognerà aspettare il 13 giugno per sapere se sarà bocciata o se dovremmo passare l'estate a studiare per recuperare due o tre materie. Adesso non ci voglio pensare: è tempo di coccolarmela un po' e di festeggiare.
Ecco il testo che ha scritto in classe e che ha partecipato in forma anonima al concorso.
"Un secondo, un'occasione"
Sono seduta nella mia classe così piccola e triste, per ospitare venticinque ragazze, sento il respiro soffocarsi, la professoressa di latino è entrata in classe, con i suoi capelli bianchi e ovattati, aspetta che ci alziamo tutti insieme e ascolta soddisfatta quando in coro diciamo: "Bbuon giorno prof". Mi risiedo, giro la testa verso la finestra, vorrei essere ovunque tranne che qui.
“Carpe diem”, dice la prof spiegando la filosofia di Orazio. Cogli l'attimo. Questa frase mi rimbomba nella testa da molti anni. I miei genitori mi hanno sempre detto: “Cogli l'attimo perché la stessa frazione di secondo non la rivivrai due volte. Cerca di assaporare ogni istante, valutalo e goditelo: sii artefice del tuo destino”. Avevano ragione, ma non l'ho fatto. Ora, alla fine dell'anno scolastico, sono qui seduta a ripensare a tutti gli attimi che mi sono lasciata sfuggire, ai momenti che non ho saputo cogliere, a tutte le volte in cui avrei potuto fare di un'occasione, l'occasione che avrebbe potuto cambiare la mia situazione. Quante volte non ho saputo comprendere che un gesto, una parola, un rimprovero erano opportunità che mi venivano date: io, presa da insignificanti distrazioni, le ho lasciate cadere nel vuoto. Vorrei tanto poter riavvolgere il nastro della vita e approfittare di quelle mani che mi offrivano una via d'uscita alla mia superficialità, al mio egocentrismo, alla mia paura di crescere.
“Sofia potresti concederci l'onore della tua attenzione?”.
Torno sulla terra. Il sorriso che mi stampo sulla faccia è amaro: ancora una volta ho lasciato che la mia mente prendesse il sopravvento, ho sprecato un'altra occasione, ma sarà l'ultima volta. Da oggi in poi ogni secondo, ogni respiro sarà importante e degno di essere vissuto, di essere compreso. Sto crescendo e mi rendo conto che Orazio quando invocava il “carpe diem” intendeva dire proprio questo: essere protagonista della propria vita, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno.
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