Varcare la soglia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia con il cuore e gli occhi pieni delle immagini che arrivano dall'Ucraina trasforma radicalmente la visita all'attesissima retrospettiva dedicata ad Anish Kapoor. Le sue opere non hanno alcun legame ideologico con l'invasione delle truppe russe, né con le vittime della follia della guerra, eppure non si può che essere risucchiati dall'orrore che stanno vivendo migliaia di innocenti dall'inizio dei bombardamenti. La mostra, curata dal direttore del Rijkmuseum Taco Dibbits, non c'entra nulla con il conflitto in corso nel cuore dell'Europa: sono esposti i capolavori realizzati dall'artista - tra i più influenti del nostro tempo - a partire dagli anni Ottanta a documentare "l’intera gamma visionaria della pratica di Kapoor" che ha sperimentato i limiti e la materialità del mondo visibile attraverso opere che trascendono la loro oggettività e sollecitano lo spettatore a interagire emotivamente.
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E così, tra i più celebri capolavori della pittura veneziana esposti alle Gallerie dell'Accademia, si resta in religioso silenzio davanti a Shooting Into the Corner, l’installazione in cui uno speciale cannone, creato da Kapoor insieme a un team di ingegneri, spara proiettili di cera rossa da 11 chili ciascuno. Il risultato è una lunga striscia di materia rossa rosso sangue spappolata a terra e sulle pareti che invade gran parte della sala principale dell’esposizione. Il cannone, visibile da una apertura nella parete, è puntato dritto sul visitatore quando entra in mostra. Sembra lo scenario di un massacro in terra ucraina, ma l’opera risale alla fine degli duemila. “Kapoor crea opere che si realizzano nell’attimo in cui le sperimentiamo”, spiega il curatore Taco Dibbits. “Tali opere esistono in un divenire continuo, siamo chiamati come testimoni di questi oggetti per un solo momento nel corso della loro generazione o degenerazione”.
Fa pensare alla guerra anche la monumentale opera site specific Mount Moriah at the Gate of the Ghetto che accoglie i visitatori a Palazzo Manfrin, recentemente acquistato da Anish Kapoor che ne farà la sede della sua Fondazione e che ora ospita la seconda parte della sua retrospettiva. L'installazione è una massa grondante di silicone e vernice, in nero e in rosso, che richiama le colate materiche viste anche alle Gallerie, e si protrae nello spazio come un informe ammasso disordinato di carne conducendo il visitatore all’installazione centrale di un sole che tramonta (o sorge) su una massa di cera rossa esangue mentre si aggrega sul pavimento del palazzo, sommergendo questo edificio storico nella sostanza primordiale della vita e della morte.
Puntualizza il fisico italiano Carlo Rovelli nel catalogo della mostra pubblicato da Marsilio Arte: “Come accadeva per l’artista rinascimentale la maestria di Kapoor serve ad aprirci gli occhi a nuove interpretazioni”. Ovviamente, sia a Palazzo Manfrin che alle Gallerie dell'Accademia, ci sono anche le opere specchianti che capovolgono e distorcono le aspettative dello spettatore su ciò che si riflette, ci sono le geometrie nerissime realizzate con il nero più nero dell'universo (il famoso Vantablack di cui Kapoor ha acquisito tutti i diritti), c'è il cartoonesco caterpillar di Destierro e la toccante opera Pregnant White Within Me (2022), un gigantesco rigonfiamento che dilata l’architettura dello spazio espositivo, suggerendo una ridefinizione dei confini tra corpo, edificio ed essere.
La mostra di Anish Kapoor è davvero potente e merita di essere visitata perché rende concreto il concetto di "sublime" descritto da Edmund Burke nel suo Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1775) come "la più forte emozione che l'animo sia capace di sentire".
Catalogo Marsilio Arte.
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