Liu Bolin, la performance al Mudec |
Ci sono degli animali che hanno sviluppato la capacità di
rendersi invisibili agli occhi dei predatori. Altri sfruttano tale abilità per
celarsi alle loro prede, sorprendendole poi all’improvviso. Si mimetizzano cioè
come forma di difesa o per volontaria strategia di attacco. Poi c’è lo
scultore, performer e fotografo cinese Liu Bolin che ha fatto del camouflage un’arte:
difficile distinguerlo tra le architetture, le merci, le macerie, i rifiuti e i
molteplici scenari del mondo nei quali sceglie di immergersi per diventare cosa
tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più
piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire,
identificarsi nel Tutto. Ieri, nei depositi del Museo delle Culture di Milano
Liu Bolin ha messo in scena la sua ultima performance in vista della mostra
«Visible Invisible» prodotta da 24OreCultura che inaugura il 15 maggio 2019 con la
curatela di Beatrice Benedetti.
Dopo aver scelto nei giorni scorsi, insieme ai
sovraintendenti del Mudec, i preziosi manufatti della collezione permanente che
hanno fatto da scenografia alla fotografia finale, ha dipinto insieme ai due
assisitenti i suoi vestiti e le scarpe, i capelli e il corpo con un accurato
body painting che lo ha perfettamente integrato e nascosto nella scena. Un
lavoro lungo e impegnativo che prevede anche una grande preparazione fisica e
mentale dovendo rimanere immobile per delle ore. Però poi il risultato è stupefacente:
davvero difficile stanare l’artista in filigrana tra la bardatura da cavallo
giapponese del periodo Edo, il vaso cinese del 18esimo secolo, le due maschere
cerimoniali della Papua-Nuova Guinea e dell’Amazzonia, i pali e lo scudo della
Papua Nuova Guinea del XX secolo appartenenti alla cultura Asmat, le coperte
argentine del XX secolo.