Piazzale Flaminio, appena fuori le Mura Aureliane e a
pochi metri da Piazza del Popolo, è uno dei punti nevralgici di Roma. Da lì
passano i turisti diretti a Villa Borghese, alla Terrazza del Pincio, alla
Chiesa di Santa Maria del Popolo e al famoso Tridente costituito da via del
Corso, via di Ripetta e via del Babuino. Da lì i romani prendono la
metropolitana e i bus che li portano in ogni dove. Ebbene, in questo crocevia,
il 30 maggio 2095, si consumerà una terribile esecuzione di massa. Lo dice
senza mezzi termini una targa commemorativa in alluminio inciso che fa bella
mostra di sé da alcune settimane: «In questo luogo furono brutalmente
giustiziati ventidue giovani rei di non possedere un profilo social, puniti
come apolidi digitali», si legge.
Quello che ci attende dunque sembra essere un futuro
poco roseo. E non sono certo solo supposizioni, ma quello a cui porterà il
progressivo allontanamento dalla dimensione umana a favore di una tecnologia
sempre più totalizzante. Più o meno lo stesso di quello raccontato da Black
Mirror, la serie tv nella quale vengono immaginate e ricreate diverse
situazioni del mondo moderno o futuro in cui una nuova invenzione tecnologica o
un’idea paradossale ha, in qualche modo, destabilizzato la società e i
sentimenti umani.
In realtà le targhe che presto compariranno in tutta
Italia (già si trovano anche in Veneto e presto in Sicilia) sono opere di un
collettivo di fotografi, DustyEye che lancia un messaggio di speranza. Il
progetto, ribattezzato Il migliore dei futuri possibili ha infatti come
obiettivo di diventare una grande installazione artistica e invertire la
tendenza dell’attuale incapacità di progettare il domani, per tornare invece a
«immaginare il futuro, a parlarne, cercando di capire come lo vogliamo». Lo
stesso collettivo DustyEye ha spiegato che «l’idea è quella di creare un ponte
tra passato, presente e futuro, di cui la targa ne è un’interprete, invogliando
le persone a una riflessione sociale sul valore che diamo al nostro tempo e su
quanto siamo assuefatti dalle nuove tecnologie, dalle loro norme e paradossi».
E comunque, sottolineano gli artisti sul loro sito:
«Possiamo stare tranquilli, parafrasando l’epitaffio di Kurt Vonnegut “tutto
andrà bene e nulla ci ferirà”. Ci aspettano anni radiosi. Un susseguirsi di
Medioevi e Rinascimenti. La Vita continuerà in tutta la sua pacata
brillantezza, sotto un Sole non così deciso ad esploderci in faccia come
profetizzato. Non troppo in fretta perlomeno».
I DustyEye, che hanno deciso di nascondere la propria
identità proprio per opporsi alla logica egocentrica a cui i social network
danno voce celandosi dietro maschere inquietanti realizzate dallo stesso
artigiano veneziano che ha prodotto quelle del capolavoro di Stanley Kubrick,
Eyes wide shut, sono già noti nel panorama artistico nazionale.
L’estate 2016
hanno decorato ogni cacca di cane trovata in giro per Roma, applicandogli occhi
e vestiti e creando personaggi degni di South Park. Poi si sono inventati Un
mese di bontà, l’installazione che chiedeva agli spettatori di scegliere tra
appropriarsi di 5 euro protetti da una teca (ma accompagnati da un martelletto
per agevolare la rottura del vetro) o attendere trenta giorni per vedere regalati
in quello stesso luogo cento libri classici. Sia a Roma sia a Padova la
banconota è stata presa in poche ore, ma l’installazione è rimasta per
settimane sollevando controversie: c’è chi l’ha vista come uno stendardo del
declino culturale e chi l’ha criticata per l’implicito insulto all’indigenza.
E
ancora La maniglia della prospettiva totale (vere e proprie maniglie sono state
sparse in mezza Italia) «a cui aggrapparti mentre attraversi l’Infinito verso
l’Entropia». Le loro installazioni non sono solo provocazioni fini a se stesse,
ma spingono a riflettere sul concetto di opera d’arte e sul suo ruolo e forma
nel mondo contemporaneo.
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