Monte Bettogli, Carrara: nelle cave di marmo uomini
e macchine scavano la montagna. Il Capo controlla, coordina e conduce
cavatori e mezzi pesanti utilizzando un linguaggio fatto di gesti e di
segni. Dirigendo la sua orchestra pericolosa e sublime, affacciata sugli
strapiombi delle Apuane, il Capo agisce in un rumore assoluto, che
incredibilmente diventa silenzio. Quindici minuti di girato firmato da
Yuri Ancarani che nel 2010, con un lavoro a metà strada tra il cinema
documentario e l’arte contemporanea, ha voluto raccontare le “zone” meno
visibili della vita quotidiana. Il video, chiamato Il Capo, insieme a
Piattaforma Luna (che in 25 minuti racconta il lavoro di sei
sommozzatori impegnati a 100 metri di profondità in una camera
iperbarica) e a Da Vinci (realizzato in un dipartimento di chirurgia
robotica dove un medico esegue un’intera operazione comandando i bracci
di un robot tramite un joystick) sono presentati,insieme ai filmati e
alle installazioni di altri tredici artisti di fama internazionale, fino
al 17 aprile al Mast di Bologna nella mostra Lavoro in movimento.
Diversi per poetica, provenienza, età (da Harun Farocki, che oggi
avrebbe 73 anni, al 29 enne Thomas Vroege), tutti impegnati a narrare
attraverso l’interpretazione filmata della realtà la trasformazione del
mondo del lavoro dall’attività artigianale di un singolo individuo alla
produzione di massa; dal lavoro umano a quello robotizzato; dalla
produzione di energia a quello dei beni e servizi hi-tech; dallo
sviluppo del prodotto alla contrattazione commerciale; dalle sfide di
natura legale alle questioni strutturali ed esistenziali legate al
sistema finanziario.
«Viviamo in
tempi in cui la realtà è una dimensione in movimento – la percepiamo
come un insieme di piani paralleli che si affiancano, si susseguono, si
sovrappongono. La mostra», spiega il curatore della mostra Urs Stahel,
«ne traccia un resoconto visivo attraverso una selezione di video che si
configurano come piccole galassie, nelle quali la singola opera ha un
valore autonomo ma trova il suo significato soprattutto in relazione
alle altre, di cui diventa di volta in volta commento, critica, o tacita
risposta».
Ecco allora Chen Chieh-jen che tratta il crollo
dell’industria tessile a Taiwan a cavallo del 2000: poichè le donne
erano disponibili a collaborare al video a patto di non dover parlare,
l’opera somiglia a una pièce teatrale muta messa in scena nei capannoni
tra gli oggetti abbandonati dopo la chiusura. E poi Pieter Hugo che in
Permanent Error racconta ciò che accade nella discarica dei rifiuti
tecnologici di Agbloshie, nei pressi della capitale del Ghana, uno dei luoghi più
inquinati del mondo: qui confluiscono, spesso illegalmente, enormi
quantità di rifiuti elettronici. Milioni di tonnellate di vecchi pc, tv,
telefoni cellulari che sono fonte di sostentamento per migliaia di
ghanesi che si guadagnano da vivere bruciandoli ed estraendo metalli da
rivendere (rame, ottone, alluminio, zinco) ma i fumi e i residue tossici
prodotto dai fuochi contaminano l’aria, l’acqua, la terra, le persone e
gli animali.
Il turco Ali Kazma (classe 1971) ha invece girato uno dei
suoi video, Household Goods Factory, all’interno degli stabilimenti
dell’azienda di design italiana Alessi: gli operai, adattandosi al ritmo
serrato delle macchine, rifiniscono a mano ogni pezzo. Il risultato è
l’umanizzazione del processo produttivo. L’altra opera O.K. 2010 loop,
ritrae in una proiezione video a sette canali, un giovane impegato che
appone a ritmo frenetico un timbro su una pila di fogli di carta in
un’operazione a metà strada tra documentario e performance art:
mostrandoci un uomo che lavora alla velocità di una macchina, l’artista
sembra invitarci a rallentare il nostro ritmo quotidiano e ad apprezzare
i gesti e le azioni che costituiscono l’essenza viva del lavoro.
Ad
Nuis, in Oil & Paradise esamina con sguardo ironico l’ex stato
sovietico dell’Azerbaijan che in seguito al boom dell’industria
petrolifera dispone oggi di una ricchezza apparentemente illimitata:
l’artista con un mix di foto, riprese, telefonate, podcast mette in luce
le assurde contraddizioni tra la vita dei nuovi ricchi e i comuni
cittadini. Gaelle Boucand fa invece un ritratto enigmatico e
paradossale di un anziano uomo d’affari sfuggito in Svizzera. In una
lussuosa proprietà JJA racconta la storia del suo successo economico e
le ragioni dell’autoesilio in un soliloquio dal quale emergono
ossessioni e idiosincrasie. E ancora Willie Doherty, Farocki/Ehmann, Eva
Leitolf, Armin Linke, Gabriela Löffel e Julika Rudelius.Per essere compreso a fondo e assimilato, il percorso espositivo richiede del tempo in più rispetto alla norma: ciascun visitatore è invitato a trovare il proprio ritmo. «Solo così l’intensità, la forza e la ricchezza di queste immagini in movimento», spiega Stahel, «potranno restituire con forme, meccanismi narrativi e linguaggi visivi diversi l’evoluzione del mondo del lavoro e della nostra vita».
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