Herman Wallace è stato per 40 anni in una cella da solo 23 ore al giorno da innocente. Poi le porte del carcere della Luisiana si sono aperte perché completamente scagionato dall'accusa di omicidio di una guardia della prigione di Angola nel 1972, ma la libertà che ha sempre sognato è durata solo poche ore. Settandue ore, per la precisione: Herman è morto la notte scorsa a causa del tumore al fegato che gli era stato diagnosticato alcuni mesi fa.
La triste fine di Herman (è uscito dalla galera in ambulanza senza neppure aver il fiato di parlare visto lo stato avanzato del cancro), così come la sua allucinante vicenda giudiziaria lascia sgomenti e pieni di rabbia verso un sistema che calpesta i diritti umani, che isola e sceglie le proprie vittime tra chi si batte per cambiare le cose. Herman Wallace era infatti un attivista delle Pantere Nere finito in prigione per una rapina. Nel 1972, insieme a Robert King (rilasciato nel 2001) e Albert Woodfox (ancora dietro le sbarre e in attesa dell'appello), conosciuti come 'i tre dell'Angola' dal nome appunto del penitenziario, noto come uno dei più violenti e segregati dell'Unione dove negli Anni '70 non c'era nemmeno un secondino di colore, furono accusati e condannati per l'omicidio a coltellate della guardia bianca Brent Miller. Ma Wallace ha sempre sostenuto di essere stato "individuato" in quanto membro del movimento di liberazione delle 'Pantere Nere' e per aver organizzato proteste contro la segregazione nel carcere. Gli avvocati di Wallace hanno fatto sapere che su richiesta del loro cliente, hanno intenzione di continuare la battaglia legale contro l'isolamento dei detenuti: «È suo desiderio, che anche dopo che lui non ci sarà più, noi proseguiamo nella sfida per prevenire la possibilità che altri soffrano punizioni così crudeli».
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