L'indice sulla fiamma della candela è annerito, segno che è già da un po' che il fuoco brucia la carne viva. Ma non ci sono smorfie di dolore sul volto. Gli occhi, seppur arrossati, non tradiscono sofferenza. Marina Abramović è concentrata e guarda dritto negli occhi chi le sta davanti. Ha scelto questa immagine per la mostra, la sua prima retrospettiva italiana, che apre oggi 20 settembre a Palazzo Strozzi, Firenze. L'ha voluta chiamare The Cleaner (che si traduce in addetto alle pulizie). A 71 anni d'età e mezzo secolo di attività artistica alle spalle la "Signora delle performance" spiega così il titolo: «Come in una casa: tieni solo quello che ti serve fai pulizia del passato, della memoria, del destino». Quel che resta è l'agiografia di una delle artiste più controverse che con le sue opere ha rivoluzionato l'idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione. Marina Abramović ha saputo unire come pochi altri una ricerca d'avanguardia a una popolarità andata oltre i confini classici del sistema dell'arte: riflettendo sulla propria vita, da sempre ha portato alla ribalta temi cruciali, che ci riguardano tutti, riuscendo a comunicare come nessun altro artista col presente, interpretandone le contraddizioni e le urgenze.
Anche questo è uno dei temi che fino al 20 gennaio la mostra di Palazzo Strozzi prova a raccontare attraverso video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance da parte di attori selezionati e formati (ma chissà se pagati il giusto).