L'arte contemporanea travolge anche Cannes. La Palma d'oro del festival è stata assegnata infatti al provocatorio The square del regista svedese Ruben Östlund: un film che fa il ritratto della società in cui viviamo, con tutte le ingiustizie e le contraddizioni del nostro mondo (c'è la forbice socio-economica che taglia in due le fasce della popolazione, c'è la cialtroneria e l'immaturità della classe dirigente) attraverso la storia di Christian, il curatore di un museo di arte contemporanea, un uomo generoso solo quando ha il proprio tornaconto o quando gli gira bene, che predica bene e razzola male, alle prese con le sue idee creative nel segno dell' evento, della sorpresa.
Mentre sta preparando una mostra che vorrebbe essere un invito all'altruismo alla solidarietà (c'è solo un' opera che poi non è altro che il perimetro di un quadrato piazzato a terra, con una targa che recita: «Il Quadrato è un santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi diritti e doveri»), una serie di eventi surreali e imprevisti - come il furto del suo cellulare - lo fa sprofondare in una crisi esistenziale. Il bersaglio di Östlund sono ovviamente le tante piccole e grandi contraddizioni e ipocrisie del mondo dell'arte contemporanea, cha altro non è che lo specchio della nostra società.
Contraddizioni e ipocrisie che ben racconta Francesco Bonami nel nuovo libro L'arte nel cesso.
Nel volume, edito da Mondadori (140 pagine, 18 euro) il critico, con il suo stile dissacratorio e ironico, prosegue il discorso avviato dieci anni fa in Lo potevo fare anche io giungendo provocatoriamente - ma neanche troppo - alla conclusione che l'arte contemporanea che ha avuto inizio nel 1917 con l'orinale capovolto di Duchamp, oggi, a un secolo esatto, deve lasciare il posto a una nuova fase. Cosa verrà al posto del contemporaneo? «Boh!», risponde Bonami, «Che volete che ne sappia io? L'arte del presente, Present Art? Arte dell'ora, Now Art? Arte Momentanea, Moment Art?». Di certo c'è che da quando Duchamp sostituisce alla semplice realizzazione dell'oggetto l'idea (non inventa l'orinale, ma ha l'idea di rovesciarlo, firmarlo e perfino di esporlo) l'arte contemporanea è stata una gara a chi aveva l'idea migliore o più stravagante o magari rivoluzionaria o indisponente. Fino ad arrivare ad America, il cesso d'oro massiccio di Maurizio Cattelan installato al Museo Guggenheim di New York con la gente si mette in fila trattenendo i bisogni corporali per vedere l'effetto che fa farli dentro un' opera d arte e per di più d'oro 24 carati. Ecco allora il titolo del libro, L'Arte nel cesso: «Come se l'arte contemporanea e le sue idee», spiega Bonami, «fossero state mangiate dalla bocca di Duchamp, digerite per cento anni dagli enzimi concettuali e non del suo stomaco fatto da artisti diversi, per poi come ogni cibo, finita la digestione e assimilato, essere espulso dalla sua uscita naturale, il culo di Cattelan».
Bonami, uno dei curatori più autorevoli e influenti nel panorama internazionale, ne ha per tutti: da Christo a Peter Ford che ha progettato di spostare i confini di certe nazioni o deviare il Danubio; da Botero a Mitoraj; da Arnaldo Pomodoro a David LaChapelle, Guttuso e Ron Mueck che «hanno abusato dell'arte noiosa per fare arte schifosa»; da Joseph Beuys, che dichiarando «ognuno di noi è un artista» ha generato un esercito di ordinari Nessuno che hanno invaso l'universo dell'arte, a Marina Abramovich «una delle divinità intoccabili del mondo dell'arte o meglio una delle più grandi attrazioni del circo dell'arte. Volerla fermare è come tentare di sparare alla Madonna di Medjugorie». E ancora: Damien Hirst, Francesco Vezzoli, Michelangelo Pistoletto, Ai Weiwei.
Insomma provocazione dopo provocazione, la contemporaneità ha esaurito il suo potere di stupire e l'arte, per tornare a essere utile, deve ritrovare la capacità d'inventare e narrare storie, recuperando quell'essenziale cocktail di ingenuità e genialità che è alla base della creatività umana.
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