Roma è una città con 250.000 alloggi sfitti.
Roma è una città che vedrà, nel 2014, l’esecuzione di 8.729 sfratti, il 30% dei quali con la partecipazione della polizia.
Roma è una città con oltre 50.000 persone in emergenza abitativa.
Roma è una città dove 20.000 persone, sabato 12 aprile scorso, sono scese in piazza per rivendicare il loro diritto a vivere in una casa. Noi c’eravamo.
Siamo scesi in piazza, come già avevamo fatto lo scorso 19 ottobre, per denunciare l’assurdità di avere delle case senza gente e della gente senza casa.
La nostra lotta per la casa non è solo per la soddisfazione di un bisogno. Noi riteniamo che dentro le occupazioni vadano sperimentati anche quei metodi autogestionari che presuppongono relazioni non gerarchiche tra individui.
Questo è quello che pratichiamo nelle nostre occupazioni e che cerchiamo di comunicare agli altri.
Abbiamo assistito, negli ultimi mesi, ad una stretta repressiva nei confronti di tutti gli occupanti di case.
Ci sono stati diversi sgomberi, in cui sono state coinvolte anche occupazioni a cui partecipavano alcuni di noi. Ci sono state denunce, con accuse pesantissime, nei confronti di molti compagni colpevoli solo di essere attivi nei movimenti di lotta per la casa.
La magistratura, la polizia, Questore e Prefetto hanno deciso la “linea dura”.
Il governo Renzi ha rincarato la dose: con il “piano casa” ha cercato di dare il colpo di grazia a chiunque occupi un alloggio.
Hanno fatto una legge che vieta di riconoscere come residenza anagrafica una casa occupata. Vieta la possibilità di fornire acqua e luce a chi occupa.
Questo significa l’impossibilità per chi ha bambini e vive in una casa occupata di mandarli a scuola, per i migranti di ottenere un permesso di soggiorno, per chiunque di avere condizioni minime di abitabilità e di igiene.
Al dramma di chi non ha un alloggio si risponde con la negazione di qualsiasi diritto e con la repressione.
Per questi motivi siamo scesi in piazza il 12 aprile con un nostro spezzone.
La manifestazione è stata blindata come non si è mai visto a Roma.
I negozi lungo il percorso del corteo e nelle immediate vicinanze sono stati obbligati alla chiusura.
Ogni strada di accesso al percorso del corteo era sbarrata da blindati e celerini che impedivano a chiunque di transitare o anche solo di osservare il corteo.
Se il potere sperava in questo modo di isolare la città dai manifestanti ha fatto male i propri conti: la città è scesa in piazza a rivendicare i propri diritti a dimostrazione di quanto ampio e vissuto sia il problema casa a Roma.
Le persone, i compagni e le compagne, i migranti che hanno partecipato, rappresentano in un modo bello e solare la voglia di lotta in prima persona per la soddisfazione dei propri bisogni senza aspettative salvifiche in qualche politico o in qualche partito.
Certo, visto che le elezioni sono vicine, qualcuno ha provato a farsi un giro per cercare di raccogliere consensi. I vari partitini, extraparlamentari per mancanza di voti, si sono trovati in sparuti gruppetti in coda al corteo ignorati da tutti.
Non si sono visti quelli che cercano di imporre la propria egemonia al movimento e che, quando ci sono, fanno la figura delle mosche cocchiere e visto che non c’erano, hanno preferito sproloquiare di servizi d’ordine che non c’erano, di cordoni che avrebbero dovuto essere fatti, di uffici chiusi e di “necessità di allargamento” delle lotte a questo e quest’altro argomento purché li coinvolgesse.
Sulla stampa mainstream del corteo sono stati raccontati solo gli incidenti avvenuti sotto il Ministero del Lavoro in Via Veneto.
Per una volta non c’è stato il consueto tentativo di distinguere “buoni” e “cattivi”. Gli incidenti erano annunciati, che si sarebbe “spinto” a Via Veneto era indicato negli slogan di convocazione (“I diritti si conquistano a spinta”), i luoghi dove sarebbe avvenuto qualcosa erano indicati nelle mappe di Roma distribuite ai manifestanti di fuori ad inizio corteo.
Anche il percorso era studiato in modo che, chi volesse spintonarsi potesse andare a farlo in Via Veneto, senza coinvolgere chi non avesse voluto farlo rimanendo fermo a Piazza Barberini.
La spettacolarizzazione dello scontro, fatta ad esclusivo uso mediatico, a noi non piace.
Capiamo la rilevanza che i compagni attribuiscono al “fare notizia” e al costringere a non ignorare un corteo. Il problema è che in questo modo la notizia non è nelle ragioni di chi manifesta e spesso finisce, anche nelle analisi e nella propaganda, per assorbire i motivi della protesta
Nonostante i tafferugli in Via Veneto fossero annunciati e, parzialmente, concordati, la polizia ha poi caricato selvaggiamente tutto il corteo non solo da Via Veneto, ma anche da Via Bissolati, dove stazionava la coda e non era successo nulla.
Si è trattato di una precisa scelta questurina di cercare di creare il panico tra i manifestanti, con tutte le strade laterali chiuse e Via del Tritone come unica via di fuga per 20.000 persone.
Dopo la violenta carica ed il vano tentativo di disperdere i manifestanti, il corteo si è ricompattato. Alla fine di Via del Tritone e lungo il Traforo sono ricomparsi gli striscioni venuti meno, sono stati ricostituiti gli spezzoni e la manifestazione ha ripreso il suo percorso sfilando lungo il tragitto originario fino a Piazza di Porta Pia dove si è tenuta l’assemblea.
E’ frutto della fantasia perversa del Ministro dell’Interno il fatto che la polizia abbia fatto “cariche d’alleggerimento” perché provocata dai cattivoni che “saccheggiavano” la città.
La violenza brutale della polizia viene criticata solo quando viene ripresa dalle telecamere e portata alla ribalta nazionale. Sappiamo bene che la certezza dell’impunità è una caratteristica del comportamento degli unici violenti che si vedono alle manifestazioni: le “forze dell’ordine”.
Non si tratta del comportamento occasionale di qualche “cretino”, ma di una precisa strategia governativa che ha deciso di rispondere con la repressione a chi reclama la soddisfazione dei propri bisogni.
Il 14 aprile, due giorni dopo il corteo, a Via Castiglioni alla Montagnola, la stessa polizia ha sgomberato, mandando diverse persone all’ospedale, una palazzina occupata da una settimana da 700 persone, insultando, prendendo a manganellate e calci chi aveva il solo torto di cercare un posto dove abitare.
Il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, ha giustificato il comportamento dei poliziotti parlando di “frenesia e frustrazione” per i bassi stipendi. Peccato che i migranti, i precari, i disoccupati, gli esodati, gli sfrattati e quasi tutti i lavoratori e le lavoratrici vivano in condizioni di “frenesia e frustrazione” molto peggiori degli agenti di polizia.
La repressione di chi cerca di sopravvivere determina conflitto.
Mentre aspettiamo giustificazioni dal Prefetto di Roma anche per tutte le altre categorie sociali “frenetiche e frustrate”, rivendichiamo la libertà di tutti i compagni fermati il 12 aprile in piazza.
Gruppo Anarchico C. Cafiero – FAI Roma
L'articolo è pubblicato sul numero 14 di Umanità Nova.
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