martedì 24 marzo 2020

Fosse Ardeatine: uno dei semi era Lallo Orlandi Posti


«Ci hanno sotterrato, ma eravamo semi». Dietro questo striscione del liceo Socrate e del liceo Peano di Roma gli studenti dell'ottavo municipio sfilano ogni anno attraverso le strade di Garbatella e Tormarancia fino ad arrivare al Sacrario. Qui rendono omaggio ai martiri delle Fosse Ardeatine liberando in cielo 335 palloncini colorati, uno per ciascuno delle vittime della barbarie nazifascista. Uno era dedicato a un loro coetaneo: Lallo Orlandi Posti, tra i più giovani, mio zio.
Lallo, infatti, aveva compiuto da pochi giorni diciotto anni quando venne trucidato su ordine di Erich Priebke nelle cave delle Ardeatine. Fu ammazzato con un colpo di pistola alla testa dopo 50 giorni di torture fisiche e morali subite nel carcere di via Tasso. Il suo corpo quando venne scoperto l'eccidio era irriconoscibile: i capelli neri e ricci erano diventati tutti bianchi e dritti.
Era alto e bello Lallo quando armato di un vecchio fucile stava tra gli studenti, le donne, gli operai che cercavano di respingere le armate tedesche a Porta San Paolo e sulle rive dell'Aniene. Studente dalle scuole magistrali, a diciassette anni era entrato nella Resistenza: seminava chiodi per strade per fermare le autocolonne tedesche, trasportava armi, partecipava alle dimostrazioni per boicottare le lezioni all'università da dove erano stati esclusi gli ebrei e gli antifascisti. Lo hanno fermato la mattina del 3 febbraio 1944 non prima però di essere riuscito ad avvertire i compagni di un'imminente retata.

mercoledì 4 marzo 2020

Non solo pittori e scultori: tutti i lavori nel mondo dell'arte

"Vengo ora al mio grande delitto, quello che sovrasta tutti gli altri. Da tempo acquisto e stimo massimamente le opere di pittori assai originali e colti, tra cui vi sono molti uomini di genio, e pretendo di imporle agli amatori". Questo scrive Paul Durand-Ruel a proposito di Degas, Monet, Renoir, Sisley, Pissarro che si erano proclamati Impressionisti inaugurando tra mille polemiche a Parigi la mostra destinata a far cambiare rotta alla storia dell'arte. Era il 15 aprile 1874: un solco nella linea del tempo che segna un prima e un dopo. Non solo per le innovazioni linguistiche e tematiche introdotte dai pittori ribelli, ma pure per quel modello di relazioni messe in campo che sarà poi ripreso e sviluppato fino a delineare quello che oggi chiamiamo mercato dell'arte. A tessere la rete fu Paul Durand-Ruel (1831-1922), un mercante parigino che, in controtendenza rispetto alla critica e al pubblico, puntò tutto su una nuova arte, l’Impressionismo, i vincendo alla grande anche grazie al un nuovo modello di fruizione e vendita di opere che mise in campo circondandosi e valorizzando figure specializzate fino ad allora non riconosciute.
Parte tutto da qui. Lo sa bene Andrea Concas, docente e divulgatore nonché fondatore della prima community dedicata alla formazione, aggiornamento e orientamento sulle professioni dell’arte che ha appena pubblicato il nuovo libro “Professione Arte” (Mondadori, pag. 224, euro 19,90).

lunedì 24 febbraio 2020

Donne in gravidanza, il pudore degli artisti nel ritrarre il pancione

Chantal Joffe "Self Portrait Pregnant" (2004)
La pittrice inglese Mary Beale (1633 – 1699), è tra le ritrattiste dell’era barocca di maggior successo. Insieme a Joan Carlile, fu una delle prime donne a praticare la pittura a livello professionale e a sostenere finanziariamente la sua famiglia attraverso la sua attività di ritrattista. Cosa tutt’altro che scontata: come in altri campi lavorativi, all’epoca tradizionalmente riservati agli uomini, anche nella pittura non era facile per una donna affermarsi. Scelse attentamente i suoi clienti e usò la stima della sua cerchia di amici per farsene altri come la regina Enrichetta Maria e John Tillotson che alla fine diventò arcivescovo di Canterbury. Mary Beale si faceva pagare cinque sterline per il dipinto di una testa e dieci sterline per il mezzo corpo nei dipinti ad olio (faceva circa duecento sterline all’anno e dava il 10% dei suoi guadagni in beneficenza). La pittrice dipinse se stessa in varie occasioni, ma nel 1660, con grande coraggio,  fece il suo autoritratto da incinta insieme al marito Charles e al figlio Bart. Attorno al corpo si mise una garza a indicare il suo stato interessante e con la mano indica se stessa facendo comparire nella composizione del quadro la quarta persona ritratta, ovvero il nascituro.

martedì 21 gennaio 2020

Il duro lavoro delle donne

"Scavi a Pompei"
Filomena osserva pensierosa gli antichi edifici di Pompei di cui non conosce la storia. Ai suoi piedi c'è una cesta vuota che dovrà riempire con i resti delle preziose mura sgretolate ben visibili attorno. Vicino a lei altre ragazze, cariche come muli, che portano via macerie. Siamo nel 1870 e da poco sono ripresi gli scavi per riportare alla luce la città sepolta dalla lava del Vesuvio. Una frotta di fanciulle era stata assoldata nel cantiere per trasportare cocci, tegole, frammenti murari, pietre. Una mansione faticosa assegnata alle donne per speculare sui salari, decisamente più bassi rispetto a quanto percepivano gli uomini. Una fatica sottolineata dai cronisti del tempo, come Vittorio Imbriani, che nel 1863 descrivendo gli scavi di Pompei mette in luce proprio «quelle misere fanciulle che muovono a torme con le ceste di terra in capo che ti si trasformano nelle dolenti Danaidi». Mentre Filomena si spezza la schiena, c'è un pittore, Filippo Palizzi, che sta lì ore e ore a ritrarla. Filomena (sappiamo che si chiama così perché compare anche in un altro quadro intitolato con il suo nome) è, più o meno consapevolmente, la sua modella.
"La raccolta del granturco"

mercoledì 8 gennaio 2020

Zehra Doğan, avremo anche giorni migliori

Zehra Doğan, è un'artista curda, giornalista e femminsita, rinchiusa nelle carceri turche con l’accusa di propaganda terrorista per aver mostrato la violenza dell’esercito di Erdogan con una sua opera. Si trattava di un acquarello postato su Twitter tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.


martedì 7 gennaio 2020

John Baldessari il "gigante gentile" dell'arte concettuale

Capita che alcuni artisti, a un certo punto della vita, si guardino indietro e si accorgano che tutto quello fatto fino ad allora non li rappresenta più. Decidono così di cambiare direzione rinnegando la propria formazione e produzione. Successe anche all'americano John Baldessari: inorridito davanti ai suoi dipinti giovanili decise di disfarsene in maniera eclatante.
Era il 1970 e lo fece in maniera artistica con una performance «The Cremation Project» destinata a scrivere un nuovo capitolo della storia dell' arte. Andò all' obitorio "Cypress View Mortuary" e fece cremare tutti i quadri in suo possesso. La cenere dei dipinti bruciati venne poi utilizzata come ingrediente per impastare alcune gallette, cotte e riposte in un barattolo, come in una sorta di urna cineraria. Per Baldessari la nuova opera d'arte consisteva nei Corpus Wafers, gli indigesti biscotti di quadro. Poi realizzò una targa metallica con inciso il suo nome e le date del debutto da pittore e dell' abbandono dell' arte tradizionale: «John Anthony Baldessari May 1953 March 1966». Così facendo, da una parte, da buon erede di Marcel Duchamp, Baldessari fece trionfare l'idea sulla forma, dall'altra impiegando i metodi distruttivi di Gustav Metzger e Jean Tinguely (nel suo caso un forno crematorio) mise in relazione la performance all'idea della morte e alla rinascita. «The Cremation Project» fu esposto al MoMA di New York nella mostra "Information".